Il 28 gennaio arrivò in un batter d’occhio. La mattina, benché fredda e
pungente, era assolata e Roby se ne stava tutto solo al bar Principe in attesa
di Mauro: insieme sarebbero andati a prendere Paola a scuola, al Liceo
Sperimentale di via Guglielmi.
Dopo un Martini liscio, Roby si avviò lungo il Corso, e davanti al
Carnaby Street, “l’isola” come la chiamavano i fricchettoni ternani, incontrò
il suo amico ed insieme si avviarono verso la scuola.
«Lo vòi sapé?» disse Roby «C’ho pensato parecchio in questi due giorni…
vojo dì… a Raffaella… Credi che ce devo provà?»
«Che te devo dì… sarebbe bello, cucì c’annamo assieme a Sangemini… io a
Paola… tu e Raffaella… se, penso proprio che ce devi provà!»
«Si, va bene, va bene, ma non vorrei fa’ ‘na cosa solo per il gusto de
falla… se me ce devo mette assieme è perché provo quarche cosa per lei… lo sai
che non me metterai mai co’ una solo pe’ portalla a letto o cose del genere!»
«E che non ce lo so bacchettone del cavolo? Non faresti mai una cosa
simile! Te conosco troppo bene! Però, può èsse che stannoce assieme,
frequentandola, la cominci a conosce mejo e poi… da cosa nasce cosa!»
«Si, c’hai raggione! Credo che ce proverò, ma dopo la festa tua… prima
c’ho da controllà alcune cosette…» e non volle più tornare sull’argomento
almeno fino alla fine dei suoi controlli.
Ora, io penso che ognuno di noi, a vent’anni, aveva in mente quale fosse
la donna o l’uomo ideale: biondo/a, occhi azzurri, alto/a, il tutto in un bel
corpo da modello/a ecc. ecc.
Il nostro amico non aveva bene in mente quale che fosse la sua donna
ideale: era meglio bionda o mora? «Mora sicuramente, al 100%!», occhi azzurri o
verdi o neri? «Non me ne frega proprio niente!», alta o bassa? «Mejo un po’ più
bassa de me!», magra o in carne? «Mejo in carne, così so ‘ndo devo mette le
mano!». Ma in fondo in fondo non c’aveva mai pensato seriamente. Di una cosa
era strasicuro: non era importante se fosse bella o brutta, ma guai se fosse
stata un’oca, una di quelle che conoscono solo due o tre vocaboli, ma che sanno
molto bene come sbatterti le tette in faccia! Ecco: la sua donna ideale non
doveva essere una tigre del sesso, ma doveva saper vivere la sua sessualità
normalmente, senza pregiudizi né tabù. Non doveva essere un’ammaliante peccatrice
e mangiatrice di uomini, anche perché il nostro, non era quel che si dice un
grosso esperto in materia. Quante volte aveva fatto sesso prima? Dunque… c’era
stata Tiziana, quella ragazza di Assisi durante le vacanze al mare quattro anni
e mezzo prima, più inesperta di lui (ancora
si domanda se hanno fatto veramente del sesso); poi, quel mignottone (nel senso vero della parola… leggi 5000
per ‘na pelle!) a Pian di Massiano a Perugia durante i tre giorni della
visita di leva; Stefania a Udine, e quella era stata senz’altro l’esperienza
più bella; ed infine quella ninfomane, sempre in Friuli, come si chiamava… ah,
già, Valeria… ma quella s’era fatta l’intera caserma Zucchi-Lanfranco e anche
l’altra caserma, compresi marescialli, sergenti, caporali, garitte, fall e
garand, quindi lascio a voi le conclusioni.
Ok, fatta questa inevitabile precisazione, torniamo ai fatti.
Venne il pomeriggio del fatidico 28 gennaio, e Roby stava incartando il
libro che aveva comprato per il suo amico, “A bordo dei dischi volanti” di
George Adamski, quando il telefono squillò.
«A mà, ce pòi annà te?» urlò Roby dalla sua camera. Sua madre andò a
rispondere e lo chiamò, visto che la telefonata era per lui, e Roby, a
malincuore (ma ti rompe così tanto i
cosiddetti rispondere al telefono? Ah, già, i cellulari non li hanno ancora
inventati… scusa!), si avviò verso la cornetta.
«Ma chi è?» chiese Roby a sua madre.
«Boh! Mi sembra la voce di una donna…» rispose la su’ mammina.
«E chi può essere a quest’ora… siiiii?» bofonchiò Roby.
«Ciao Roby, sono Raffaella, l’amica di Paola!» Oh kazzo! Oh kazzo! Oh
kazzo! Era lei da qualche cabina del telefono! Ma come diavolo aveva avuto il
suo telephone number? «Quale autobus dobbiamo prendere per arrivare a casa di
Mauro?»
Roby diventò completamente bordeaux e spiccicò là un numero: «Il 2… fino
al capolinea!»
«Ok, ci aspetti lì?» chiese dolcemente la fanciulla.
«Uh… va bene, vi aspetto al capolinea del “2”… parte a un quarto alle
tre dalla stazione, quindi ci vediamo tra una ventina di minuti, così andiamo
su insieme!»
Roby impacchettò in quattro e quattr’otto il libro, si mise un bel
maglione rosso e nero, due spruzzate di Axe dietro il collo e due sotto le
ascelle, il piumino nuovo e corse verso la fermata del bus con diciannove
minuti di anticipo.
Furono, quelli, 19 minuti tra i più nervosi della sua vita. Non stava
più nella pelle, si puliva continuamente e nervosamente le unghie, si soffiava
il naso ogni tre secondi, provava l’alito fresco Sturbans e s’accorse che non
si era fatto la barba, ma ormai non c’era più il tempo per quello, e poi quei
quattro pelacci non avrebbero dato fastidio neanche ad un bambino in fasce,
quindi…
Il bus sbucò da dietro il palazzo e arrivò al capolinea quasi in orario,
e quando Roby vide scendere Raffaella e Betta, sentii il cuore battere come la
doppia cassa di Philty Animal Taylor, e le sue mani cominciarono a sudare.
«Ciao… come va?» buttò là gracchiando come una cornacchia.
«Uh… non c’è malaccio, a parte ‘sto kazzo de freddo!» rispose Betta agitando
le sue manine da scaricatrice di porto «Speramo che su dall’amico tuo ce stia
un po’ de alcool, almeno me riscallo le budella!» (All’anima della finezza! Scuola
Oxford!) Ma, dopotutto, a Roby di Betta non gliene poteva fregar di meno:
bruttina, sul metro e 75 e un naso aquilino da paura (lui stava intono al metro e 70 circa e quelle più alte di lui lo
mettevano chiaramente a disagio). Raffaella era all’incirca un metro e 60,
62, capelli castano scuro lisci fino alle spalle, occhiali da vista con la
montatura un po’ vecchiotta, e un corpicino proprio niente male, molto, ma
molto proporzionato. Aveva 16 anni ma ne dimostrava un paio di più; lui ne
dimostrava un paio di meno, e allora…
Entrarono nell’ascensore e salirono al 6° piano del palazzo di Mauro, e
Roby, mentre l’ascensore saliva su, pensò a quante volte era salito a casa del
suo amico in sedici anni (tanti ne erano
passati da quando si erano conosciuti)… almeno un migliaio di volte, ma mai
con una ragazza, anzi due, a parte quelle tredicenni che venivano, nel mezzo
degli anni ’70, a ballare a casa del suo migliore amico… ma questa è un’altra
storia.
Il dito si poggiò tremante sul campanello, arrivò la mother e i tre si
accomodarono in salotto, dove già avevano preso posto la triade
Paolo-Francesco-Rivelli e una bella bottiglia di Jack Daniels che stava facendo
il giro dei bicchieri come la playmate di settembre tra un nugolo di bei
maschioni. L’umore di Betta salì di tono, mentre Roby strizzò l’occhio agli
altri tre, facendo capire loro che non era lei Raffaella, ma l’altra accanto a
lui, e Francesco rispose alzando il pollice in puro Fonzie’s style.
Mauro e Paola si erano acquattati sul divano di un’altra stanza a
pomiciare, i porci, mentre sul divano della sala, con Mary sulle ginocchia,
c’era Fausto.
«Ah, ciao Fa’! Non t’avevo visto! Non pensavo che ci stessi anche tu!»
«Ciao Mume! T’ho portato un po’ di dischi… Judas Priest, Dark Star, Angel Witch, Def
Leppard, Mötorhead, le Girlschool e i Kiss...»
«Ah
si, grazie... questi li conosco di fama, ma non mi piacciono tanto...» e per un
nanosecondo Raffaella era scomparsa dalla sua mente.
«Mume? E che nome è?» chiese la ragazza a Roby.
«È il mio soprannome che mi porto dietro dai tempi delle medie…» spiegò
Roby «ma perché non prendiamo qualcosa e andiamo un attimo di fuori io e te?»
La festa continuò regolarmente per tutto il pomeriggio, finché si fecero
le 6 e ¾, e sia Raffaella che Betta salutarono Mauro e tutto il resto della
compagnia, facendo di nuovo gli auguri al festeggiato per i suoi 21 anni, ma si
stava facendo tardi e dovevano tornare a casa, erano pur sempre minorenni.
Naturalmente Roby fece il cavaliere e le accompagnò fino in piazza
dell’Orologio, dove le due girls avevano la coincidenza d’autobus per Borgo
Rivo.
Mi sembra inutile dire che, durante quelle tre ore abbondanti, Roby aveva
cercato spesso gli occhi di Raffaella che, dal canto suo, non staccava mai il
suo sguardo dal nostro amico; probabilmente, anzi, sicuro al 100%, Paola le
aveva parlato del desiderio di Roby di diventare il suo ragazzo fisso. Avevano
parlato spesso, del più ma anche del meno, cercando di conoscersi meglio, e
così Roby aveva scoperto che lei faceva il Classico, abitava a Sangemini, ma da
quando sua madre, sei anni prima, era morta, stava spesso dalla nonna materna a
Borgo Rivo, soprattutto nei fine settimana, insieme al fratello più piccolo.
Roby ebbe anche i suoi due numeri di telefono. Lei aveva già il suo.
Dalla curva di piazza Tacito sbucò il “24” che le due ragazze dovevano
prendere. Roby chiese a Raffaella se la mattina dopo poteva venire ad
aspettarla per accompagnarla a scuola.
«Certo, perché no!» fu la risposta.
«Ok! Ci vediamo domattina verso le…»
«Le otto meno un quarto» lo interruppe lei «l’autobus arriva verso
quell’ora davanti alla Banca Nazionale del Lavoro… ci vediamo lì?»
«Perfetto! Ciao Betta… piacere di averti conosciuta, ci vediamo eh?» ma
Betta era già salita, mentre Raffaella indugiava ancora sul primo scalino, poi
salutò Roby schioccandogli un bel bacino sulla punta delle labbra e uno sulla
guancia che diventò subito rossa (giù il
sipario, please!).
La prima cosa che Roby fece quando il bus partì, fu quella di chiamare a
casa di Mauro, ma la festa era ancora in atto e nessuno aveva voglia di
parlare… l’ambiente era già molto surriscaldato dall’alcool.
E così Roby s’avviò mestamente su per il Corso, stretto nel suo piumino
mentre si passava delicatamente le dita infreddolite sulle labbra, ricordo di
qualcosa di magico successo da qualche minuto. Incontrò Alessandro, uno degli
Strangers, e gli fece una “capa tanta” sul conto di Raffaella… e su come era
carina… e su come gli occhiali le davano un nonsoché di sexy… e su come gli
aveva dato quei due bacini affettuosi prima di andarsene… e su come lo aveva
guardato per tutto il pomeriggio. Il poveraccio stava a sentire, ma vedeva Roby
troppo eccitato per chiudere l’argomento e mandarlo a ‘fanculo… e non fu
l’ultima volta.
Dal diario di Roby D. – 28 gennaio 1982 – ore 23,15
«Sono felice! Era tanto tempo che non stavo così bene. Raffaella, ti ho
lasciata da 4 ore ma non faccio che pensare a te. Forse ti sarai stupita del
mio comportamento, oggi pomeriggio. Ti devo dire la verità, non ero molto
sicuro di quello che stavo per fare. Volevo la certezza. E ora ce l’ho e sono
felicissimo. Domani sarà un grande giorno, forse il più bello da 3 o 4 anni a
questa parte. La botta che ho preso è grande e solo al pensiero che domani,
forse, io e te diventeremo, come si dice, una cosa sola, mi rende felice. È
meraviglioso amare una persona. Mi è successo due volte prima: Angela, che è
stata la prima vera ragazza, ed è finita come è finita, e Loredana (dove sarai
in questo momento) a cui, adesso come adesso, voglio più bene che mai, ma
questo è un amore fraterno. Raffaella, se un giorno leggerai queste quattro
cazzate, potrai renderti conto che sono un ragazzo molto difficile. Con gli
amici cerco di essere espansivo, ma la solitudine che mi prende quando sono
solo, è tremenda. Ti ringrazio di esistere. Vorrei che il tempo si fermasse,
quando sono con te. Sto bene con te, e stasera l’ho capito veramente. Forse è
per questo che oggi non ti ho parlato del sentimento che provo nei tuoi
confronti. Volevo essere sicuro che il passo che stavo per fare, poteva
rendermi felice oppure no. Scusa se ti parlo così, ma con te voglio essere
sincero. E la certezza me l’hai data te, con la tua tenerezza, la tua dolcezza.
Me l’hanno data quei tuoi occhi che chiedevano, che aspettavano una mia parola.
Adesso posso dirlo con certezza assoluta: ti amo! E nel dirlo sento il cuore
che mi scoppia nel petto. Vorrei tanto che fosse già domani. Buonanotte amore!»
(oh, my God!)
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