«La nostra natura è incline
a vedere solo il male
nell’avversario,
ad attribuirgli sempre il male,
magari anche quello che non c’è.»
(Mahatma Gandhi)
DICIOTTESIMO
Giovedì 12 gennaio, Roby e Mauro, decisero di andare a Roma, a comprare
qualche disco. Su segnalazione di Mauro Piccini, un metallaro romano che
stampava la fanzine “Metal Gods”, i due andarono in un negozio di Trastevere,
“Revolver” che, aveva detto lui, era specializzato in dischi metal, moltissimi
introvabili da altre parti.
In Piazza dei Cinquecento, presero il “170”, che imboccò via Nazionale,
proseguì per piazza Venezia, quindi largo Argentina, ponte Garibaldi sul Tevere
e, infine, piazza Sonnino, proprio all’inizio del quartiere più popolare di
Roma.
Roby e Mauro scesero, e cominciarono a cercare via Genova, ma furono
costretti a chiedere informazioni ai passanti. Finalmente, dopo svariate
giravolte a destra, incroci a sinistra, la seconda a destra dopo la fontana,
arrivarono in via Genova, e qui, proprio in fondo alla via, in un buco
trasformato in negozio, trovarono “Revolver”.
Appena misero piede in quell’anfratto che doveva chiamarsi negozio,
rimasero di stucco: il posto brulicava di metal kids in tutte le salse e furono
costretti a fare la fila per poter scartabellare i dischi esposti. Dopo
un’attesa di una decina di minuti che passarono leggendo una marea di annunci
scritti a penna tipo “cercasi batterista per gruppo hardcore” o “cercasi
cantante donna, bionda, porca e…”, riuscirono ad arrivare al primo scaffale di
dischi, quello dalla “A” alla “E”, e c’erano un’infinità di gruppi sconosciuti
come Angel Dust, Acid, Blitzkrieg, Cirith Ungol, Dark Avenger, Earthshaker,
Axill, Blade Runner ecc. ecc.
Roby
aveva gli occhi lucidi dallo stupore: era il primo degli otto scaffali dedicati
solo ed esclusivamente al metallo pesante, e già aveva trovato un centinaio di
dischi che avrebbe voluto comprare, ma alla fine, visto che come minimo avrebbe
dovuto lasciare al negozio lo stipendio di un lustro, ne acquistò una decina,
tra cui un improbabile “Phoenix Rising” del gruppo omonimo, che rimarrà una
delle poche “sòle” della sua vita da metallaro (la storia per cui Roby comprò questo disco è questa: aveva letto su
una rivista che Rob Halford, stava mettendo su un gruppo tutto suo, all’infuori
dei Judas Priest, e siccome il biondo vocalist viveva da anni a Phoenix in
Arizona, l’ignorante pensava che quello fosse il suo nuovo gruppo, e fu anche
travisato dal fatto che sul retro della copertina, non comparivano né foto né
componenti del gruppo). Penso proprio che sia stato uno dei dischi più
brutti mai concepiti da mente umana, e non solo in campo heavy metal. Fortuna
volle che non si trattava di un vero e proprio long playing, ma di un mini lp
di 4 pezzi, e quindi, anche il prezzo non era elevato (solo, e dico solo, 6500 lirette), ma ormai la frittata era fatta.
Usciti da “Revolver” alle 10 e mezza, Roby e Mauro tornarono verso la
stazione Termini, e a Roby venne in mente di telefonare a Massimo “er ciriola”,
un altro dei suoi ex amici commilitoni.
Stranamente lo trovò a casa e gli disse che, se si volevano rivedere,
non doveva far altro che andare all’interno della stazione: lui l’avrebbe
aspettato lì.
Dopo una mezzoretta, Massimo fece il suo ingresso trionfale nella
stazione Termini, e Roby lo vide subito: un po’ cambiato nell’aspetto, i
capelli più lunghi, un bel paio di baffoni “alla Bergomi”, ma quell’andatura
dinoccolata che lo aveva contraddistinto durante il periodo passato in Friuli,
quella non era cambiata per niente.
Baci ad abbracci come due vecchi amici che non si vedono da secoli.
«Robbè, sapessi come so’ contento de rivedette! Fatte vede… hai messu su
quarche chilo, eh? Ma com’è che stai qui a Roma?»
«So’ venuto con ‘st’amico mio a comprà un po’ de dischi… sai Roma non è
Terni, dove trovi solo quei quattro o cinque gruppi più famosi! Ora ascolto
solo l’heavy metal e il punk e… »
«Oh no! Pure te! E te pareva! Mò è diventata ‘na moda sentì l’heavy
metal! Ar quartiere mio nun se dorme più per tutto er casino che fanno ‘sti
scemi de metallari… senza offesa, eh!»
Ma sta zitto! Tu sei rimasto ar “Ballo di Simone”!» e giù risate a non
finire: Massimo deliziava spesso la camerata del 7° scaglione con le sue
performances alla chitarra, suonando e cantando “Il ballo di Simone” o “Scende
la pioggia” o amenità del genere («…
butta in aria le mani… e poi falle vibrar… se fai come Simone… non puoi certo
sbagliar…»)
«Te sei sposato?» chiese Massimo a Roby.
«Ma che sei scemo? Nooo! C’ho solo 23 anni… me vòi fa’ morì così
giovane?»
«E che centra! Io, per esempio, me so’ sposato e mi moje aspetta pure un
pupo!»
«Si… me ricordo che ce parlavi sempre de tu’ regazza… ma che te sei
dovuto sposà pe’ forza?» domandò Roby.
«No… mi moje è rimasta incinta dopo du’ mesi de matrimonio, e mò sta ar
terzo mese de gravidanza… »
«Porca puttana Max… era ieri che ce divertivamo lassù e oggi t’aritrovo
sposato… certo che la vita è proprio strana!»
«Che ce vòi fa’! So’ scerte de vita… nun m’ha obbligato nessuno… e se
l’ho fatto, l’ho fatto solo pe’ amore!»
«See… amore de tu’ sorella… ma famme er piacere! Ma sentitelo er
romanticone! Aò, mica te sto a condannà!» disse Roby «Com’p che diceva Bennato…
“è stata tua la scelta, allora adesso che vuoi…”, scherzo sa!»
«Si, si, tu scherzi, ma quanno verrà er turno tuo, te vorrei proprio
vede… »
«Senti… lassamo perde ‘sti discorsi da adulti… noi annamo in un negozio
qua vicino, vòi venì pure te?» (non so
se c’avete fatto caso, ma Roby aveva uno strano difetto: se parlava con un
romano, gli veniva da parlare in romanesco pure a lui; se parlava con un
romagnolo, lo stesso, e così via…).
«Vabbè, tanto nun c’ho niente da fa’… e manca più de un’ora per pranzà!»
Allora i tre si diressero verso via dei Mille, proprio dietro la
stazione Termini. Roby c’era già stato una volta, qualche tempo prima, ma la
mancanza di dinero, non gli permise di fare acquisti; stavolta aveva un po’ di
grana a disposizione, nonostante avesse già speso 175.000 lira da Revolver.
Arrivati davanti a “Millerecords”, videro un po’ di agitazione
all’interno del negozio: c’erano una decina di metallari tutti eccitati.
Entrarono, e Roby chiese ad uno di loro quale fosse il motivo di tanta
eccitazione.
«È uscito er disco nòvo dei Judas Priest!» gli rispose un energumeno
alto un metro e novanta con i capelli lunghi fino al culo.
Roby spalancò gli occhi quando vide la copertina del disco col
“Metallian” in primissimo piano capeggiare sul bancone.
«A mà, porca puttana…! Guarda
qua! …”Defenders of the faith” dei Judas! Kazzo! Kazzo! Kazzo! Non ci
posso credere! Me sta a venì la pelle d’oca! Ce toccherà pijanne una anche per
Fausto, sennò mòre d’invidia!»
Per un attimo il povero Massimo
contava come il due di bastoni a briscola quando regna coppe, gli occhi
e le parole dei due metallers ternani erano tutto per quel pezzo di vinile.
Roby se ne accorse e chiese scusa al suo amico.
«Massimo, scusame tanto… non immaginavo di trovare il nuovo disco dei
Judas Priest…»
«Manco si fosse ‘na bella fica!» rispose “er ciriola”.
«Non pòi capì! Per noi i Judas Priest sono come degli dèi e trovà er
disco nòvo è come aver trovato il Santo Graal!»
E così, con quelle tre copie del nuovo album (anche Mauro, per non
sentirsi da meno, ne acquistò una) del gruppo più amato da tutti gli Strangers,
Roby e Mauro salutarono Er Ciriola e risalirono sul treno per Terni.
Arrivati alla stazione di piazza Dante verso le 2 e tre quarti, telefonarono
subito a Fausto che, dopo qualche minuto, arrivò trafelato a bordo della sua
Mini Clubman rossa.
«Senti un po’… c’hai una mezzoretta libera?» chiese Roby.
«Perché, che hai trovato a Roma?»
«Un bel po’ de robba tosta… ma dai, portace a casa mia, così sentimo
quello che avemo comprato… » e così fecero.
Si radunarono a casa di Roby, misero una benda sugli occhi di Fausto per
non fargli vedere gli acquisti, e cominciarono dai Phoenix Rising, ma lo
tolsero subito (da qui Roby capì la gran
sòla che aveva preso); venne poi il turno di “Holy diver” primo disco
solista di Ronnie James Dio, ex singer dei Rainbow e dei Black Sabbath
post-Ozzy, giudicato molto favorevolmente dai tre; toccò poi a “Shout at the
devil” dei coloratissimi americani Mötley Crüe, poi a “Canterbury” dei Diamond
Head, a !We came to kill” delle californiane Leather Angels, quattro strafiche
in denim & leather che dopo quel disco scomparirono dalla circolazione, poi
all’altra strafica Lita Ford e il suo “Out for blood” e ai canadesi Anvil con
“Forged in fire”. Poi toccò ai thrasher Obsession con il mini album “Marshall
law”, poi agli stranissimi Cirith Ungol di “King of the dead”, per finire con i
Savatage di “Sirens” e il primo lavoro dei Leatherwolf.
Poi, alla fine, con un po’ di emozione, Roby mise su “Defenders of the
faith”, sempre con Fausto che aveva gli occhi bendati, ma già alle prime note
di “Freewheel burning”, fece un balzo sulla sedia.
«Ma… cacchio! Ma… sono i Judas Priest? Ma… ma… è il disco nuovo?»
«Oh yes!» disse con tono d’orgoglio Roby, e Mauro gli fece eco «Ma non
ti preoccupare… ce n’è una copia anche per te… lo vedi che ti vogliamo bene e
ti pensiamo sempre?»
«Grazie, grazie!» disse quasi commosso Fausto.
E allora, vai con una recensione di questo fondamentale monumento
dell’heavy metal music.
-
“Freewheel
burning” – Come è diventata ormai una consuetudine del gruppo, il primo
pezzo è un pezzo tiratissimo con le solite tematiche: lunghe corse in moto
sulle highways americane, belle donne, e tutte quelle sensazioni tipiche di
qualsiasi biker che si rispetti;
-
“Jawbreaker”
– è il primo colpo al cuore: un pezzo dannatamente drammatico nel suo sviluppo
interiore, con la voce di Rob in stato di supergrazia e le chitarre di Glenn e
K. K. Che s’inseguono nell’ormai classico stile Priest;
-
“Rock
hard ride free” – pezzo metal da cantare e ricantare, e da ballare e
riballare nei concerti urlando a squarciagola il ritornello: “Rock hard, ride
free, all day, all night… rock hard, ride free, all your life!”;
-
“The sentinel”
– è la goccia che fa traboccare il vaso: probabilmente è la più bella song mai
scritta dai Priest o, in ogni modo, quella che è rimasta più nel cuore di
quella generazione di avidi metallari: “Sworn to avange, condemn to hell, tempt
not the blade, all fera the Sentinel!”;
-
“Love
bites” – che dal vivo deve essere una vera e propria bomba al neutrone, con
quell’inizio da catastrofe atomica, è un pezzo cadenzato giocato sulle alchimie
vocali di Halford che si sposano alla perfezione con le alchimie chitarristiche
del duo Glenn e K. K.;
-
“Eat me
alive” – leggermente su di giri e trascinante, è un pezzo da scuotimento di
testa fino allo sfinimento;
-
“Some
heads are gonna roll” – è una cover di Bob Halligan jr.; devo dire la
verità, non ho mai sentito la versione originale, ma questa “Priest’s version”
è veramente micidiale e sarà destinata a diventare un classico del loro
repertorio dal vivo;
-
“Night
comes down” – è una chicca che va a completare il trittico iniziato con
“Beyond the realms of death” e proseguito con “Before the dawn”, e sta a
dimostrare che i metallari, quelli veri, non fanno solo casino e rumore, ma
sanno anche scrivere struggenti e drammatiche ballads;
-
“Heavy duty / Defenders of the
faith” – riprende i
canoni tanto cari ai Judas dei pezzi come “Take on the world” e “United”, cioè
quei pezzi basati quasi esclusivamente su voce e batteria a mò di inno
calcistico: “Let’s all join forces, rule with an iron hand, and prove to all
the world… metal rules the land… we’re heavyu duty, so come on let’s tell the
world... WE ARE DEFENDERS OF THE FAITH”, che da oggi sarà il credo
musicale di tutti i metal kids del mondo.
Dopo questa scorpacciata
di puro metallo (se domandate a Roby
quale è stato l’album che più degli altri ha contraddistinto quel decennio, al
101% vi dirà sicuramente “Defenders of the faith” dei Judas Priest), i tre,
sfiniti, rimisero sul piatto anteguerra il disco e lo risentirono di nuovo per
essere sicuri che ciò che avevano ascoltato fino ad allora fosse vero, e poi di
nuovo ancora, e poi ancora, tanto che Roby era già propenso a comprarne
un’altra copia, che quella che aveva, cominciava già a rovinarsi (bella la vita con i cd oggi, eh? Ma la
magia e il profumo del vinile, dove lo mettete, pero?)
Dal diario di Roby D. – 13 gennaio 1984 – ore 23,05
«Io non credo che la gente sia tanto meschina da prendere in giro il
prossimo solo per il gusto di fargli del male! Eppure mi devo ricredere. Ho
litigato de-fi-ni-ti-va-men-te con
Manetta, perché voleva vendicarsi del fatto che io ho detto in giro che lui si
stava comportando da stronzo (ed è vero), sia con me che con gli altri
Strangers. Ma come si può definire uno che va dicendo in giro, testuali parole
“uno di questi giorni litigo con Roberto P. (Bob “the flying dutchman”)” e poi,alla prima occasione lo sbatte
sul muro e gli da un paio di ceffoni senza un motivo che sia valido; uno che ha
litigato con mezza Terni, solo perché l’altra metà sono uomini o donne o al di
sotto dei 10 anni o al di sopra dei 30; uno che si crede la reincarnazione di
Buddha (però, come stazza ci siamo) e vuole essere il padrone assoluto della
nostra vita musicale, perché quello che dice lui è legge. E pensare che ci
conosciamo da una vita, e pensare che ero disposto anche a passare sopra la
beffa dell’amica che mi voleva presentare ma, dopotutto, il mondo va avanti lo
stesso, anche senza quell’essere immondo. Il nuovo progetto targato “the
Strangers”, la rock fanzine Terni City Rockers, sta andando avanti spedita,
ormai il primo numero è quasi pronto, mancano alcuni piccoli dettagli, mentre
l’altro progetto, i Warhead, per il momento è fermo, poiché c’è di mezzo il
servizio militare. Vorrà dire che alla prossima occasione saranno ancora più
incazzati del solito. Ed io come sto? Per certi punti di vista, posso dire che
questo è un periodo molto intenso: la fanzine, il fans club dei Warhead
(moltissime persone mi hanno scritto o telefonato dopo aver ascoltato il demo
tape dell’anno scorso), il prossimo programma che stiamo approntando io,
Fausto, Marco e Mauro per una radio di Narni (naturalmente heavy metal al 3000
% almeno facciamo concorrenza all’essere immondo), il lavoro che m’impegna per
tutto il pomeriggio (ormai la nostra è una squadra molto affiatata, e stiamo
molto bene tutti e sei insieme, anche se ogni tanto qualche problemini c’è, ma
è di poco conto), le serate a far baldoria per la città: insomma, c’ho le 24
ore tutte impegnate. Se qualcuno vuole parlare con me, credo che ci sia un
posticino tra le 14,45 e le 16,15 del 25 settembre del 2014. Però, devo dire la
verità: non mi sento del tutto felice, e non perché, in questo momento non ho
la ragazza, anche se questo è un motivo abbastanza valido, ma sento che dentro
di me manca qualcosa. Non so bene di che cosa si tratti; di amici ne ho tanti,
non ho problemi di lavoro, però c’è un “però” che manca alla mia vita, non mi
sento realizzato ancora come uomo. Certo, ho 23 anni e di strada ne devo fare
ancora tanta, ma vedo delle persone attorno a me, della mia stessa età, che si
sentono più vive. Non sono certo invidioso, ma sento che mi mancano delle
certezze. C’era il mio professore di religione a Ragioneria, che ci diceva
sempre: “Quale è lo scopo della vostra vita?” Beh, io ancora non l’ho trovato
uno scopo a questa vita mia; probabilmente lo troverò nel momento in cui avrò
una moglie e dei figli vicino a me. Forse mi sta arrivando la voglia di
sposarmi? Può essere, ma non è facile trovare una ragazza che sia disposta ad
assecondarmi e a dividere il mio futuro,
per lo meno, io non l’ho ancora trovata. Comunque, andiamo avanti lo stesso,
senza problemi, che prima o poi, toccherà anche a me. Metal rules the land!»
Il 14 gennaio, verso le sei del pomeriggio, Roby stava pulendo le scale
esterne dell’ENPAS, gli uffici dove lavorava nella seconda parte della giornata,
quando venne Alex di Viterbo a dirgli che c’era Fabrizio “Manetta” che lo stava
aspettando fuori per parlargli.
Roby appoggiò lo scopettone al muro, si lavò le mani sporche di
varechina e seguì il giovane metallaro etrusco.
Giunto che fu al cancello degli uffici, Manetta lo aggredì verbalmente
in modo alquanto violento: «Brutto figlio di puttana! Che kazzo vòi da me, eh?
Come kazzo te permetti de dì in giro tante cazzate? Mò te gonfio!» e provò a
mettere le mani addosso allo spaesato Roby.
«Tu provace a t’aritrovi ‘na denuncia grossa come ‘na casa!» riuscì a
rispondere Roby che, più piccolo dell’altro, cominciava ad avere una certa… non
proprio paura, ma lì vicino. «Ma che kazzo vòi… ma vedi d’annà a ‘fanculo che
io c’ho da lavorà!» gli ribadì Roby che girò i piedi e se ne tornò al suo posto
di lavoro, mentre l’altro continuava a gridargli dietro “brutto stronzo”,
“figlio di qua…” e “figlio di là…” e mò… «E mò basta! Mò me so’ proprio rotto
li cojoni… Alessà portamelo via sennò lo massacro!»
Il povero sedicenne viterbese (Alessà,
ancora grazie per tutto ciò che hai fatto per rendere possibile tutto quello
che ho scritto fino a adesso e quello che ancora c’ho da scrivere) cercò di
acquietare gli animi e, in qualche modo, riuscì a portare via Manetta.
Quella sera stessa, Roby raccontò l’accaduto agli altri che decisero,
seduta stante, di fargliela pagare a quell’essere immondo. Come? Lo scopriremo
solo vivendo!
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