ostia e vino sulle umane ferite, noi
per curarci ci distendevamo: privi,
temo, di paramenti, ma gli amici di Francesco gridavano
nella navata di pini, sazi di sole, ed elusivi
come angeli volavano attorno alla barriera
di rami sopra di noi, affondati in un soffice
letto sfatto di aghi, e nel mare del nostro simultaneo morire.
«È madre di bellezza la morte». Ogni foglia al suo posto
di piacere tremando, noi moriamo per star bene…
Incuranti dell’amore assonnato, da tanto disamorati.
Che importa se la nostra convalescenza sarà come noi
breve, se il mattutino è già campana a morto?
In mezzo ai pini nostro fratello, il vento, va e viene.
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