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venerdì 13 gennaio 2012

Il poeta del giorno: Friedrich Hölderlin

Friedrich Hölderlin nacque a Lauffen-on-Neckar [Württemberg] nel 1770. Orfano di padre, fu presto separato dalla madre. Compì studi severi in seminario, maturando un profondo risentimento contro la violenza dei pedanti e la religiosità ufficiale. A Tubinga, nel celebre collegio teologico protestante dello Stift, divenne amico di Schelling e Hegel. Studiò Kant, Spinoza, Rousseau. Nel 1793 fu abilitato all'ufficio di pastore, che tuttavia non volle mai esercitare. In quest'anno è la sua adesione entusiastica agli ideali di libertà della rivoluzione francese. Vi vede il ritorno alla libertà e dello spirito dell'antica Grecia, sogna che la Germania possa diventare la nuova Ellade dell'europa moderna, in una nuova primavera del genere umano.
Si trasferì a Jena, seguì le lezioni di Fichte , frequentò Schiller. A Weimar si incontrò con Goethe e Herder. Nel 1796 divenne precettore dei figli del banchiere Gontard, a Frankfürt. Si innamorò della coetanea Suzette, moglie del banchiere, che divenne l'ispiratrice e il modello di "fanciulla greca" delle sue opere (Diotima). Dopo la forzata separazione da Suzette, visse a Homburg (1800), poi a Hauptwyl [Svizzera] fu per tre mesi precettore presso un commerciante (1801). Chiesto inutilmente a Schiller un incarico di greco a Jena, si trasferì a Bordeaux come precettore nella casa del console di Amburgo. Lasciò Bordeaux il 9 maggio 1802, attraversò a piedi la Francia diretto in Germania, e apprese durante il viaggio che Suzette era morta.
Nel 1804 l'amico I. von Sinclair gli procurò un posto di bi bliotecaro. Era già malato di schizofrenia, le sue condizioni si aggravarono. A partire dal 1806, dopo un periodo di ricovero nella clinica psichiatrica dell'Università di Tubinga, fu dato in custodia a un onesto falegname svevo, Ernst Zimmer. Zimmer si era recato a visitare il poeta dopo averne letto "Hyperion". Il proprietario della clinica, Autenrith, gli propose di ospitarlo a casa sua, e il falegname accettò. Lo alloggiò in una sua torre sulle rive del Neckar. Là visse per 37 anni in una condizione di mite demenza: aveva momenti di fortissima agitazione, di solito legati a ricordi del passato, che diminuirono però con il passare degli anni. Trascorreva il tempo suonando la spinetta e scrivendo strani versi che firmava con il nome di Scardanelli e con altri pseudonimi, ricevendo molti visitatori deferenti e commossi cui si rivolgeva in modo cerimonioso ("Vostra altezza" "Vostra Maestà " "Vostra Santità"), e passeggiando per la stanza (che chiamava, per la sua forma, «l'anfiteatro»), passando ore e ore a contemplare l'amato paesaggio delle valli del Neckar e dello Steinach. Morì qui a Tubinga, a 73 anni, il 7 giugno 1843.


AL MATTINO
Brilla di rugiada il prato; più vivace
Già corre la sorgente desta; il faggio
inclina il capo incerto e tra le foglie
mormora e brilla; e intorno a grigie nubi

Rosse fiamme si allungano, annunciando,
Senza rumore si levano in onde;
Come flutti alla riva, le cangianti,
Alte si levano, sempre più alte.

Vieni ora, sali, e non troppo presto,
Giorno dorato, al vertice del cielo!
Perchè più aperto e confidente vola
A te il mio occhio, beato! fino a quando

Giovane nella tua bellezza guardi
E troppo splendido e orgoglioso ancora
Per me non sei; sempre vorresti andare
Lo potessi io con te, viandante dio!

Ma tu sorridi del lieto spavaldo,
Che vorrebbe eguagliarti; benedici
invece il mio mortale agire e ancora
Benigno! allieta il mio muto sentiero


IL CANTO DEL DESTINO
Voi che lassù vi aggirate nella luce 
sul soffice suolo, o beate divinità! 
Rilucenti, divini aliti
lievemente vi sfiorano, 
come dita d'artista
le sacre corde.
Indifferenti al fato, come addormentati
poppanti, respirano gli abitatori del cielo;
castamente custodito
in piccola gemma 
fiorisce per sempre
per loro lo spirito,
e gli occhi, beati,
guardano nel calmo
eterno chiarore.

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