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venerdì 6 gennaio 2012

Il poeta del giorno: David Maria Turoldo

Giuseppe Turoldo nasce a Coderno di Sedegliano il 22 novembre 1916. Dopo alcuni anni di formazione presso l’ordine mendicante religioso dei Servi di Maria (che lui definiva “mendicanti d’amore”), emette la sua prima professione religiosa nel ’35 assumendo il nome di fra David Maria. Nel ’40 viene ordinato sacerdote e per quindici anni tiene la predicazione domenicale nel duomo di Milano. Fin dall’inizio del suo sacerdozio si impegna in ambiti diversi: predicazione, scritture, resistenza, assistenza ai poveri e Nomadelfia (“piccola città” con l’unica legge della fraternità).Fonda il centro culturale “Corsia dei Servi”e alterna l’attività culturale alla testimonianza civile e politica, all’attività di predicatore e soprattutto di poeta. Nel ’46 si laurea in filosofia con una tesi dal titolo “Per una ontologia dell’uomo”. Durante la Resistenza fonda una rivista antifascista clandestina, “L’Uomo”, dove pubblica le sue prime poesie; scrive anche testi in prosa di contenuto biblico-letterario, testi teatrali; traduce inoltre tutti i salmi della Bibbia e compone nuovi inni e cantici a commento della liturgia domenicale e festiva. Per i suoi scritti anticonformisti, viene chiamato “coscienza inquieta della Chiesa”. Viene allontanato da Pio XII da Milano per la severità con cui interpreta il Vangelo di fronte alla borghesia milanese e viene inviato all’estero. A metà degli anni ’60 si trasferisce nella comunità dei Servi di Maria a Fontanella, vicino a Sotto il Monte, paese natale di papa Giovanni XXIII. Turoldo ha stima e fiducia per il cammino dell’uomo promosso dal Papa buono e dal Concilio Vaticano II e s’impegna per una “ricomposizione” indicata dal vangelo. Da Fontanella continua a condurre le sue battaglie e dirige il Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII. L’obbedienza al servizio all’uomo e alla solidarietà si realizza nella sua attività di prosatore prolifico e pungente e di notista con delle rubriche fisse su giornali e riviste. Denuncia tutti i soprusi, soprattutto istituzionali ed economici, e si fa voce degli oppressi, anche di quelli più lontani, per la libertà e la giustizia. Crede, infatti, che l’unica scelta di salvezza sia la spartizione dei beni (incontro con Ernesto Cardenal, valorizzazione di Rigoberta Menchù, canto per Oscar Romero).

Nel suo testamento spirituale, scritto nel 1986, padre David ringrazia i suoi “tre amori” con l’aiuto dei quali ha saputo superare ogni difficoltà: gli amici laici, i confratelli e i poveri (che lui chiamava “mie radici e mio sangue” e “la mia gente”). La produzione poetica degli anni della sofferenza fisica, in cui “sperare è più difficile che credere”, si caratterizza per la trattazione delle tematiche legate al mistero dell’essere, alla vita e alla morte con una schiettezza radicale. Dopo una lunga malattia che lo segna fisicamente e moralmente, ma che non gli fa mai abbandonare la speranza, padre David muore nel 1992.


Tempo verrà
Tempo verrà che non avrete un metro
di spazio per ciascuno:
lo spazio di un metro
che sia per voi. Tutti
vi dovrete rannicchiare:
nemmeno coricati!
Se pure non sarete
accatastati uno sull’altro.
Allora uno resterà soffocato
dal ribrezzo dell’altro.
Non avrà spazio
neppure il pensiero
e tutto sarà nel Panottico:
pupilla di un
Polifemo
fissa al centro del cielo:
non ci sarà un solo angolo,
un remoto angolo
per il più segreto
dei pensieri.
Il cuore sarà cavo
come il buco nero
in mezzo alle galassie.
La mente di tutti
una lavagna nera…
Un groviglio di fili
senza corrente
i sentimenti
a terra.
*
David, è scaduto il tempo
David, è scaduto il tempo d’imbarco!
Ora il tuo posto
è la lista d’attesa.
Grazia rara è
se ancora qualcuno conservi
(con molte incertezze) memoria
del tuo nome, almeno
il sospetto
che tu sia esistito.
Premono formicai di anonimi
alle stazioni della metropolitana.
Moltitudini che urlano
invocando di salire,
a grappoli.
Tutti sconosciuti l’uno all’altro
ignoto il proprio volto
perfino a te stesso,
e il volto del proprio padre:
anche lui sbarcato
a forza dal predellino dell’ultimo tram
nella notte.
*
E non hanno
E non hanno neppure
la gioia di andare
come tu andavi (oh David)
imperioso alla conquista!
E non importava sapere di cosa,
bastava la fede
almeno nell’uomo!
Ora nessuno sa
in quale direzione andare,
e tutti cercano una maniglia
nel vuoto:
o appena si affacciano
alla linea gialla della strada
subito vengono
da forze misteriose.
ribattuti indietro.
e continuano a urlare
ma nessuno sa cosa.
Tutti dentro una luce sempre uguale,
al neon:
e sola
continuerà a brillare,
appena sorridente
la gigantografia
in fosforescenza
del GRANDE FRATELLO
onnivedente,
COME STA SCRITTO!
E anche in piccole foto,
o di varia grandezza,
ma sempre uguali, a miriadi
a ogni pulsante appese:
appese agli stipiti e agli archi delle vie,
appese, le più grandi ai frontali dei palazzi
e negli stadi
e dai rosoni delle chiese,
COME STA SCRITTO:
anche le chiese
saranno allora
la STESSA COSA.
Né alcuno che possa dire
che nome porta o chi sia!
E tutti nel feroce
invincibile sospetto
l’uno dell’altro…


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