L’uomo di neve
Si deve avere un animo d’inverno
Per contemplare questo gelo e i pini
Con le rame incrostate dalla neve;
E avere avuto freddo lungo tempo
Per guardare i ginepri irti di ghiaccio
I rudi abeti nel brillìo remoto
Del sole di gennaio; e non pensare
D’alcun duolo nel gemito del vento,
O nel suono di queste poche foglie,
Voci di una regione visitata
Da quel vento che sempre
Sibila sullo stesso nudo luogo
Per chi ascolta, chi ascolta nel nevaio,
E nulla in sé medesimo, contempla
Là quel nulla che è e che non è.
Non idee sulla cosa, ma la cosa stessa
All’inizio della fine dell’inverno,
in marzo, un grido roco dall’aperto
gli sembrò come un suono nella mente.
Sapeva di averlo sentito,
un grido di uccello, alla luce del giorno o già prima,
nel vento di marzo appena all’inizio.
Il sole si levava alle sei,
non più uno stanco panache sulla neve…
Sarebbe uscito all’aperto.
Non dal vasto ventriloquio
di cartapesta sbiadita del sonno…
il sole sarebbe venuto all’aperto.
Il grido roco – era
un corista il cui do anticipi il coro.
Era parte del colosso del sole,
avvolto nei suoi cerchi corali,
ancora molto lontano. Era come
una nuova conoscenza del reale.
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