«L’arte non consiste tanto
nel rappresentare cose nuove,
bensì nel rappresentarle con novità.»
(Ugo Foscolo)
DICIANNOVESIMO
Quante volte siamo passati in certi luoghi e abbiamo tirato avanti senza
prestare la benché minima attenzione alla bellezza della natura che ci
circondava; quante volte siamo stati in posti a noi sconosciuti e abbiamo
detto: «Ma io in questo posto ci sono già stato!», il cosiddetto dejà-vu;
quante volte siamo entrati in un bar senza mai fare attenzione alle persone che
ci stavano davanti aldilà del bancone.
Roby amava uscire, ogni tanto, dalla quotidianità monotona del suo
vivere a contatto con la musica, con il lavoro e con le mille banalità di tutti
i giorni. Era un bohemienne? Bella domanda!
Le domeniche pomeriggio, spesso, erano dedicate a se stesso. Gli
Strangers, solitamente, prendevano altre strade, e a lui piaceva rimanere da
solo, ma non afflosciato sulla poltrona a guardare “L’altra domenica” o
“Domenica In”, o sul letto a rinfrescarsi lo spirito; magari, se il tempo fuori
era grigio o piovoso, prendeva un libro, lo iniziava, e dopo 15/20 pagine lo
chiudeva, e allora lo prendeva la malinconia, e non bastava un “…quando il
signor Bilbo Baggins di casa Baggins annunziò che avrebbe festeggiato il suo
centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima…” a placare il suo
malcontento. E allora prendeva il fedele motorino, faceva il pieno, e via
all’avventura (?), alla ricerca di
nuovi luoghi da visitare (ma dove vuoi
andare con un motorino che non fa più di 40 all’ora, eh, scemo?).
In quel tempo ormai così lontano, lui faceva collezione di lattine di
birra e di pacchetti di sigarette vuoti e, spesso, prendeva una strada
qualunque, si accostava il più possibile alla cunetta destra, rallentava la
velocità del suo due ruote, e cercava in mezzo alle ripe, lungo i marciapiedi,
o tra un albero e l’altro, vecchie lattine e vecchi pacchetti di sigarette che
potevano andare ad aumentare le sue già vaste collezioni.
Quella domenica di gennaio, il tempo non permetteva niente di buono: il
cielo grigio minacciava pioggia da un momento all’altro, e il gelido vento che
veniva dalla Russia, ti entrava nelle ossa, anche se portavi dieci maglioni di
lana uno sull’altro. Ma lui non si scoraggiò: s’infilò i pantaloni del pigiama
sotto i jeans, mise la maglia di lana, quella con le maniche lunghe che si era
portato via da Cividale, una camicia di flanella pesante a scacchi, un bel
maglione di lana tutto nero, il piumino, un passamontagna (a quei tempi non era
obbligatorio il casco), guanti da sci alle mani e walkman alle orecchie (indovinate un po’ che musica ascoltava?)
e prese la strada che dal quartiere San Giovanni s’inerpicava per la “Macchia
di Bussone”, per poi proseguire verso la zona industriale di Vascigliano di Stroncone,
e continuare all’infinito passando per una miriade di paesetti come Lugnola,
Torri in Sabina, Cantalupo, Poggio Mirteto, per poi finire a Passo Corse, a due
passi da Roma.
Lungo il margine destro, trovò una lunga serie di pacchetti di sigarette
abbastanza nuovi che mancavano alla sua collezione (tra cui un pacchetto di
Opus di origine polacca… praticamente quasi introvabili), quattro o cinque
lattine di birra non acciaccate, 300 lire spicce e un teschio di marmo tutto
lavorato che, chissà come, era finito lì, gettato da qualcuno che,
evidentemente, non apprezzava quella forma d’arte. Lui lo mise insieme agli
altri reperti nello zainetto militare che si era appeso sulle spalle, e se lo
portò a casa e, ancora oggi, fa bella mostra di sé sulla scrivania del nostro
amico.
C’era, tuttora non lo so perché è passato molto tempo da quando non
bazzica più quella zona, un bar lungo la statale, e Roby ci si fermava spesso a
bersi un caffè o un bicchierino di Jägermaister (il suo amaro preferito), e anche
quella domenica si fermò.
Fu attratto da un bel bombolone alla crema (i dolci erano la sua passione… e se vedeva… e se vede pure adesso!),
lo accompagnò con un bel cappuccino, e poi si mise seduto a seguire le partite
alla tv, fumandosi una Camel, tutto assorto nei suoi pensieri.
Una ragazza gli passò accanto, urtando il suo braccio appoggiato sul
tavolino, cosa che lo distolse dai suoi pensieri.
«Scusa! Scusami tanto! Oggi sono proprio sbadata e non guardo dove
vado!» disse lei.
Roby la guardò: non era quel che si dice una gran gnocca. Capelli
castani raccolti in una coda di cavallo, occhi marroni e vicini, folte
sopracciglia, colorito più vicino al rosso che al rosato, un’altezza
approssimativa sul metro e 65, corporatura robusta… diciamo sui settantacinque
chili. Portava un paio di pantaloni che mettevano in evidenza un sedere
abbastanza provocante… non proprio “a mandolino”, comunque provocante per i
gusti personali di Roby, e un maglione blu a collo alto che metteva in evidenza
un seno altrettanto provocante… diciamo una quarta misura? Diciamolo! E
possiamo anche dire che quelle erano le uniche cose abbastanza decenti di
quella ragazza.
Roby tirò fuori tutto il suo savoire faire: «Scusami tu! Sono io che
sono talmente preso a pensare ai fatti miei, che non mi sono accorto di avere
le mani a penzoloni!»
«Vuoi qualcos’altro oltre al cappuccino?» chiese gentilmente lei.
«No… ti ringrazio! Sei la padrona del bar?» domandò Roby in un escursus
dalla sua proverbiale timidezza «Non ti ho mai vista prima d’ora qui, anche se
è un bel pezzo che non passo da queste parti…»
«Mi chiamo Deborah!»
«Piacere… R… Renato!» rispose il paraculo.
«Sono la figlia del padrone… ho finito l’anno scorso le scuole… sai, a
Spoleto, all’Istituto Alberghiero, e mi sono diplomata come cameriera ai tavoli
e sto aspettando l’occasione buona per andarmene da questo schifo di posto!»
Roby… anzi, Renato, le chiese di mettersi seduta, anche perché nel
locale, in quell’ora che va dalle 15 e 30 alle 16 e 30 circa non c’erano altre
persone da servire, e lei si accomodò, pulendosi le mani con una salvietta di
carta.
«E dov’è che ti piacerebbe andare, se non sono indiscreto?» chiese
educatamente.
«Mah… non lo so… Roma… Firenze… magari Venezia… è il mio sogno vedere
Venezia!»
«Non mi dire che non sei mai stata a Venezia!»
«No, e non vedo l’ora di andarci…»
«Ne vale assolutamente la pena!» disse Roby/Renato «È una città unica,
anche se io non ci vivrei mai. La prima volta che la vedi ti appare come un sogno…
un bellissimo sogno da cui non ti vorresti mai svegliare. Io ci sono stato un
sacco di volte, ma già alla seconda, m’è apparsa meno affascinante, forse
perché la prima volta l’ho vista di notte ed era uno spettacolo unico, mentre
la seconda era il giorno di Pasqua e c’era un casino di gente che non si
passava, e forse per questo mi ha fatto meno impressione. Comunque è da vedere
almeno una volta nella vita… ne vale assolutamente la pena. Mi ricordo che
presi una gondola e me n’andai lungo il Canal Grande con tutte le luci dei
palazzi che si agitavano sopra di me, i ponti che sfilavano lenti, e le onde
del canale che baciavano la prua della gondola come due innamorati al chiaro di
luna…» (non ho parole!)
Lei lo guardò con aria trasognata, mentre lui si sentiva molto Manuel
Fantoni (vedi Carlo Verdone nel film
“Borotalco”) e un’idea birichina cominciò a fare capolino in quella
testolina che non era solo piena di capelli.
«È molto cara però! Lì un caffè al tavolo del “Florian” te lo fanno
digerire a caro prezzo, anche 5000, e se non sei abbastanza fornito, non ti fai
neanche una pizza per cena!»
«Viaggi molto tu?» chiese lei cominciando ad incuriosirsi di quel
giovane neanche troppo attraente e per nulla elegante.
«Si! Sai, faccio l’agente di commercio per una grossa ditta di prodotti
tecnologici tipo hi-fi, televisioni, impianti stereo… giro molto l’Italia e
anche l’estero con la mia Bmw, però, quelle poche volte che sono a Terni,
prendo il mio vecchio motorino, perché alla fine, dopo una o due settimane con
il culo sopra la macchina, ti cominci a rompere le scatole!» (ehi, cari lettori, capitemi bene!
Logicamente, queste, erano tutte grosse cazzate!) «Pensa che l’altro ieri
ero a Vienna per un congresso, e ieri mi sono fermato a Milano, e oggi sono a
Terni: c’est la vie!»
«Eh?»
«C’est la vie… è la vita!»
«Ah, si, e che vita!» disse lei alquanto eccitata «E domani dove te ne
vai?»
«Domani… domani… ah, già! Domani rimango a Terni ma dopodomani devo
essere a Bari per una fiera dell’elettronica, e nel pomeriggio a Salerno per
vedere un cliente importante!»
«Ma viaggi sempre in macchina? Non ti stancano tutti questi chilometri?»
«No, amo molto viaggiare in macchina. Il treno è noioso, non arrivi mai,
in prima classe c’è sempre gente con la puzza sotto il naso, e l’aereo è
diventato troppo snob, ormai lo prendono tutti anche per fare solo 100
chilometri! No, io amo mettermi alla guida della mia auto (ma se c’hai a malapena la patente, brutto porco!), un po’ di
musica e basta!»
«Che bello sarebbe fare la tua vita!»
«Beh… ci sono i lati positivi e quelli negativi. Certo, vedi molti
posti, viaggi sempre, alberghi, ristoranti di lusso, belle ragazze, che non
guasta mai, frequenti gente importante… però… però… ci sono anche i contro, tipo
le lunghe file sull’autostrada per il pedaggio, le noiosissime riunioni di
lavoro, i rimproveri del capo che vorrebbe che facessi sempre di più, però… in
fondo… si, è una bella vita la mia!» e si appoggiò allo schienale della sedia,
con le mani dietro la nuca, e dentro si sentiva veramente come Verdone nel
film.
Lei lo guardava un po’ invidiosa ma anche curiosa di sapere qualcosa sul
mondo esterno: «E fuori dall’Italia dove sei stato?» lo incalzò ancora lei con
l’avidità di una persona che non ha mai visto niente.
«Beh… Londra… Parigi…
New York… Madrid… Los Angeles… Stoccolma… Francoforte e poi… aspetta…
Vienna e Monaco, e quest’estate vado in Giappone a conoscere la multinazionale
per cui lavoro… forse la conosci… la Sony!» (e che kazzo Robbè… ce sei andato leggero!)
«Porca puttana che culo che c’hai!»
Lui non le badò, e sorseggiò il cappuccino ormai freddo.
«E dimmi un’altra cosa… hai mai conosciuto persone famose?»
«Certo, alle feste, ai cocktail party… ho conosciuto Gigi Proietti che è
una persona simpaticissima e gli ho fatto comprare una villa vicino ad Amelia,
poi Michele Placido, molto alla mano, Montesano, simpaticissimo, Pozzetto,
molto sulle sue, la Sandrelli, meno bella di come appare, Ornella Muti,
stupenda donna… e poi, aspetta, fammi ricordare… mmmh… ah, coso… come si
chiama… Steven Spielberg, il regista americano, molto simpatico, e Michael
Douglas, antipatico e snob, Harrison Ford è invece un gran signore… e poi
Stallone…»
«Stallone? L’attore?»
«Si, Sylvester Stallone… l’ho conosciuto ad un party a Los Angeles dopo
la prima di “Rocky III”»
«Oh cavolo! Sapessi quanto mi piace! Ma è bello come nei film?»
«Perché secondo te è bello? Questione di gusti… comunque, che ti devo
dire… è molto più basso di come appare nei film, è alto quanto me, se non più
basso (questo è vero!), però c’ha
una montagna di muscoli… ma è anche mezzo alcolizzato, beve come una spugna!» (vista la situazione che si era creata,
ogni cazzata era buona!)
«Però, come mi piacerebbe anche a me conoscere tanta gente! Ma se sto
qui a farmi un culo così… come cavolo faccio a conoscerla? Questo è un posto
dimenticato da Dio, e prima che passi qualche personaggio famoso da queste
parti, faccio in tempo ad andare in pensione!»
«Beh… in effetti non hai tutti i torti! Senti… dammi il tuo nome e
cognome, e vedo se posso fare qualcosa per te. Conosco un paio di persone che
hanno una catena di ristoranti a Roma… ti piacerebbe lavorare a Roma?»
«E me lo domandi? Starei pure vicino a casa! Veramente puoi farmi questo
favore? Te ne sarò grata per tutta la vita!»
Roby prese accuratamente nome e cognome della fanciulla allibita, pagò
il cappuccino e il bombolone, e se ne tornò a casa tutto soddisfatto.
«Porcaccia miseria ladra che stronzo!» pensò tra se e se «Però mi sono
divertito veramente!» ed imboccò la salita in preda ad una risata di quelle che
non riesci a smettere fino a quando non ti vengono giù le lacrime.
Comprensibilmente, Roby si sentiva come un cane, non era nelle sue
intenzioni fare quello che aveva fatto, ma la situazione era allettante e si
era presentata nelle migliori condizioni. Però, ora, si stava pentendo di aver
preso in giro quella ignara ragazza. Ma lei lo aveva stuzzicato, e in fin dei
conti, per il divertimento che ne era conseguito, ne era valsa la pena dire
tutte quelle stronzate.
E per fortuna Roby ebbe l’idea di andarsene presto, sennò chissà quali
altre stupidaggini gli sarebbero venute in mente a quella testa di matto.
E poi, sarà stato il caso, una pura coincidenza: non aveva fatto neanche
un chilometro che cominciò a piovigginare e, come se non bastasse, bucò il
motorino.
Ora voi direte che è stata la giustizia divina ed io sono completamente
d’accordo con voi.
Non ci pensò più, e tutto riprese nel solito modo: si alzava come mino
alle 9, doccia e colazione, un salto all’edicola a comprare “Il corriere dello
sport” o “Sorrisi e Canzoni” o “HM” o “Metal shock” o “Rockstar” o
“Tuttifrutti” o “Rockerilla” o “Il giornale dei misteri”, e per fortuna aveva
smesso di comprare “Ciao 2001” e “Diabolik” ed ora la sua camera era piena di
giornali, di dischi, di cassette audio, di libri e chi più ne ha più ne metta. E
dovevano ancora venir fuori le videocassette!
Il lavoro su Terni City Rockers stava procedendo bene, anche se tutta la
preparazione pesava sulle sue spalle e su quelle di Fausto (come volevasi dimostrare), gli articoli erano tutti pronti,
bastava metterli in modo da formare le varie pagine e portare tutto in quella
tipografia per le fotocopie.
* * * * * * * * * * * *
«Quando pensi a qualcosa,
quando ricordi qualcosa,
mettilo al suo posto,
ma scrivilo mentre ci stai pensando:
potresti non coglierlo
con altrettanto vigore,
la seconda volta.»
(Francis Scott Fitzgerald)
VENTESIMO
«Ciao, sono Francesco Pullia e scrivo per “Il Messaggero”. È possibile
vederci uno di questi giorni per fare quattro chiacchiere? Sapete, devo fare un
pezzo sulla realtà rock a Terni e ho saputo che voi avete un gruppo e che siete
un gruppo di amici molto amanti della musica rock, quindi chi meglio di voi
conosce la situazione?»
«Grazie… ti va bene per sabato prossimo? Noi stiamo alla sala prove dei
Warhead, nella zona artigianale della Polymer… ci possiamo vedere lì oppure ci
diamo appuntamento da qualche altra parte e andiamo là insieme, va bene?»
«Per me va bene… ci vediamo verso le dieci davanti all’edicola di piazza
Tacito e poi partiamo!»
«Cari lettori, oggi abbiamo raggiunto la sala prove di un nuovo gruppo
rock ternano, i Warhead. Abbiamo incontrato Fausto, chitarra e voce, Lucio,
batteria, e Roby, general manager… »
«Beh, non proprio general manager… diciamo che tengo i contatti tra il
gruppo e il mondo esterno!» disse Roby all’inviato del “Messaggero”.
«Bene… cosa mi dite dei Warhead?»
«Se mi permetti» disse Fausto «non vorrei parlare dei Warhead, anche
perché l’altro chitarrista/cantante sta facendo il militare, e al momento
stiamo fermi. Però vorrei parlare di un’altra cosa… posso?»
All’assenso del suo interlocutore, Fausto comunicò quanto segue:
«Oggi, sabato 21 gennaio 1984, è nata ufficialmente la prima rock
fanzine stampata a Terni. Dopo un paio di mesi di gestazione, “TERNI CITY ROCKERS” è finalmente una
realtà. Il grande pregio di questa fanzine è quello di dare voce alla realtà
musicale cittadina, di qualsiasi genere e di qualsiasi estrazione ella
provenga. Esorto tutti coloro che hanno un gruppo, o che suonano da soli, a
mettersi in contatto con la nostra redazione, per parlare di ciò che più a
cuore ci sta: la musica. Tutte le varie realtà saranno ascoltate… non ci sarà
alcun pregiudizio… nessuno sarà escluso… chi ha da dire qualcosa di vero, ora
può farlo attraverso il nostro e vostro giornale. Diamo finalmente un’energica
sferzata all’apatia che contraddistingue la nostra città. Facciamo sentire la
nostra voce, la voce dell’anima rockettara di Terni. Contattateci al numero 21…
»
E con queste parole, gli Strangers annunciarono al mondo intero la
nascita di TERNI CITY ROCKERS, la
voce rock di Terni.
Fu quello un momento veramente importante per tutta la scena musicale
della città. Non più solo gruppi che suonavano solo per il piacere di fare
musica: ora c’era anche una rivista, autogestita e senza un briciolo di pubblicità
(che bello il pionierismo…) che
poteva far giungere il messaggio che ognuno voleva lanciare, anche fuori dalle
mura cittadine, e questo avrebbe posto Terni tra le città più all’avanguardia
nel fantastico mondo della musica.
Costruire il nostro
domani, pietra su pietra, mattone su mattone, anche la più minuscola pagliuzza
serve ad innalzarci verso il futuro che il fato ci ha destinato.
Però, poi, ci sono quei giorni, quei mesi, a volte quegli anni, che non
sappiamo come spendere il tempo che ci è stato concesso, e ci arrabattiamo in
inutili filosofie freudiane, inseguendo un sogno troppo irreale per le nostre
menti ottuse.
Tutto questo discorso è per farvi capire che Roby non buttava mai via
ogni singolo minuto della sua vita; ogni secondo era buono per creare un
tassello di quel mosaico che chiamiamo futuro. Si stava adattando all’idea che
avrebbe fatto qualcosa di creativo, di utile agli altri, per quel poco che
poteva interessare agli altri, il suo umile lavoro, ma per lui era molto importante:
quel trimestre febbraio/marzo/aprile del 1984, era iniziato in maniera
elettrizzante.
Lunedì 6 febbraio, cominciarono le trasmissioni via etere della nuova
creatura degli Strangers: il programma “Rock brigades” dai vetusti studi di
Radio Alice, una radio libera (ma libera
veramente) che trasmetteva dal castello di San Girolamo a Narni, che
cercava, in qualche modo, di rinverdire i fasti e di seguire la pista segnata
dalla vecchia Radio Evelyn negli anni settanta; pochissimo spazio (giusto il minimo
indispensabile) alla pubblicità, musica colta (?) come l’heavy metal e l’hard rock, il rock americano stile
Dylan, Fleetwood Mac, Springsteen o Patti Smith, la new wave di gente tipo U2,
Simple Minds, Rem, Bauhaus, Smiths, la musica elettronica tipo Kraftwerk o
Tangerne Dream, il buon vecchio rock progressivo anglosassone anni settanti dei
Genesis, dei Pink Floyd, degli Yes, dei Jethro Tull (in pratica i primi amori di Roby), i cantautori italiani meno
disimpegnati come De Andrè, Guccini, De Gregori o il primo Bennato: non c’era
spazio in quella radio, come lo era stato anche per Radio Evelyn, per le
canzonette da classifica (anche se
circolava in radio un 45 giri dal seducente titolo “Like a virgin” di una
ragazzotta americana di origine italiana, una certa Veronica Ciccone in arte
“Madonna”), o per gli sbattimenti ancheggianti creati dalla disco music.
Anche nell’aspetto esteriore (oggi
lo chiameremmo “look”), le sale occupate dalla radio, ricordavano in tutto
e per tutto lo stile della sorella maggiore Evelyn, con poster del “Che” o
della “falce e martello”, due giradischi antidiluviani con tanto di mixer
ultrastraprofessionale (ma quando mai!),
perfino un registratore a cassette che mandava continuamente musica tutta la
notte senza stare a girare il lato della cassetta (eh… i misteri della tecnica!); l’arredamento era molto sobrio: un
paio di divani portati da casa da qualcuno, una decina di sedie da bar di
plastica, un tavolinaccio unto e bisunto; in altre parole, sembrava di stare in
paradiso.
In poco tempo divenne una cult-radio, anche se, già alla periferia di
Terni, per non parlare del centro e della zona verso est della città, non era
facile centrare alla perfezione i 98,1 mhz della stazione radiofonica narnese,
nonostante la grande antenna (si può
dire abusiva o m’arrestano?) installata dalle parti della Rocca Albornoz,
ma chi amava un certo discorso cultural-musicale, provava in tutti i modi la
miglior ricezione possibile, ed era molto facile vedere gruppi di metallari del
capoluogo riuniti nelle loro auto girovagare nella zona industriale di
“Sabbione” per seguire adeguatamente le performances dei “Four horsemen”.
Roby, Fausto, Mauro e Marco, ebbero a disposizione, inizialmente,
quattro ore settimanali, dalle 22 alle 24 del lunedì e del mercoledì, per
irradiare al mondo intero la loro musica preferita.
Certo, non erano gli studi di Radio Galileo o di Radio Antenna Musica o
di Radio Incontro, e anche i quattro, professionalmente, lasciavano un po’ a
desiderare (si chiamavano Roby o Marco e
non Federico “l’olandese volante” o Anna Pettinelli), ma il vigore, la
forza, l’amore viscerale che esternavano da quei microfoni di seconda mano, era
mille volte più vero di chi percepiva anche uno stipendio per un’ora di
trasmissione nelle radio più alla moda.
Il buon David, l’eclettico chitarrista dei Synthesis, prestò la sua
proverbiale e camaleontica voce per la sigla iniziale e per quella finale, e
per gli stacchetti tra un brano e l’altro.
Questi sketches facevano venir giù le lacrime dal ridere: uno era il
dialogo tra due contadini della alta valle ternana che, tra pecore e capre,
riuscivano a captare una stazione radio che emanava “Solar angels” dei Priest
al massimo volume e al grido di “Porca Madoska… ma che è!” lasciavano i caprini
e gli ovini al loro destino e si esibivano in frenetici movimenti di testa da
veri headbangers; un altro, che poi fu reso famoso dai Warhead nel loro primo
mini lp (ne parleremo in seguito… non vi
preoccupate), aveva come protagonista un astronauta sperduto nello spazio
più profondo, che vive grazie alle onde sonore emanate da una piccola radiolina
tascabile che manda i suoi brani preferiti.
Queste spassosissime scenette, mandarono in visibilio i “grandi capi”
della radio, e, nel giro di qualche settimana, “Rock brigades” divenne il
programma di punta di tutta la radio; aumentarono le ore giornaliere da due a
tre, e anche il venerdì, dalle 21 alle 24, divenne esclusiva del quartetto, a
cui si aggiungevano, dall’altra parte del vetro, tutti gli altri membri degli
Strangers, in una sorta di happening metallico ante litteram.
Parafrasando Re Mida, si poteva affermare che tutto ciò che la mente
degli Strangers toccava, diventava oro, metaforicamente parlando, sia ben
inteso, perché di tutto il lavoro che quel gruppo di amici portò avanti per
quasi un decennio (“Rock Brigades”, “Terni City Rockers” prima e “Sentinel”
dopo, Warhead eccetera eccetera), non riuscì quasi mai a portare nelle loro
tasche mille lire, anzi, dovevano sborsare di tasca propria i soldi necessari
per l’acquisto di nuovi dischi o di nuovi strumenti o per le fotocopie dei
giornali, ed erano tempi quelli che di soldi nelle tasche dei nostri amici, ne
giravano pochini (a parte Roby che
lavorava nella ditta di pulizie, gli altri vivevano quasi di rendita, poiché
provenivano da buone famiglie borghesi, ma i soldi erano pochi anche per loro),
ma la passione era talmente grande, che nessuno ci badava più di tanto (o quasi…).
Per più di un anno, “Rock Brigades” irradiò la sua musica ad alto
potenziale dai microfoni narnesi, suscitando, a più riprese, la megalomane
gelosia di un ben noto metal dj ternano che, ormai, non si sentiva più
l’esclusivo mentore del metallo pesante: quattro ragazzotti con le idee giuste,
stavano pian piano surclassandolo nei metal hearts dei bangers ternani, e
questo rese felice sia Roby che tutti gli altri più di ogni altra cosa.
Se a quel tempo si voleva ascoltare nello stesso programma “Iron Maiden
e Slayer, Judas Priest ed Exciter, Rainbow e Venom, Scorpions e Celtic Frost,
Ozzy Osbourne e Bathory, Quiet Riot e Mötorhead, Ratt ed Agent Steel, Cloven
Hoof e Destructor, Twisted Sister e Flotsam & Jetsam, Tygers of Pan Tang e
Tank, Accept e Kreator, Mercyful Fate e Exodus, Witch Fynde e Helstar, Dio e
Suicidal Tendencies, Loudness e Impaler, Omen e Damien Thorne, Jag Panzer e
Vicious Rumors, Liege Lord e Tokyo Blade, Saxon e Dark Angel, Beltane Fire e
Grim Reaper, Grave Digger e Sodom, Warlock e Pretty Maids, Krokus e Piledriver,
Sacred Blade e Coney Hutch, 220 Volt e Candlemass, Mindless Sinner e Metal
Church, la new wave of italian heavy metal e il punk più trasgressivo, gli Heir
Apparent, i Fates Warning, i Warlord, i Leatherwolf, i Manilla Road, i
Savatage, gli Anvil Chorus, i Lizzy Borden, i Crimson Glory, i Trouble, i
Savage Grace, Wendy O’Williams, i Deep Purple, i Rainbow, gli Hellion, gli
Anthrax, i Thin Lizzy, gli Abattoir, i Whiplash, i Metallica, gli Unholy Death,
i Mayhem, i Corrosion of Conformity, gli Original Sin, gli Znöwhite, Dio e
Whitesnake, i Bitch, i Nuclear Assault, i Wasp, i Malice, i Mötley Crüe, gli
Icon, i Poison, (ve sete stufati? Ne ho
altri 1500 pronti qui da sfornare), i Jag Wire, gli Heavy Pettin’, i Rogue
Male, gli Atomkraft, i Rankelson, i Raven, i Trojan, i Discharge, gli Chateaux,
I Satan Jokers, i Battle Axe, i Running Wild, gli Halloween, i Warrant, i
Picture, i Tankard, i Virginia Wolf, gli Stainless Steel, gli Angel Dust, i… e
mi sono rotto i co.. siddetti!”, era solo dalle deboli onde magnetiche di Radio
Alice che si potevano ascoltare… THANK YOU VERY MUCH FOR YOUR ATTENTION!
Scusate, ho perso il filo
del discorso… dove eravamo rimasti? Ah, si…
«Questa è una grande vittoria!» disse una volta Fausto «L’heavy metal è
dentro di noi, ovunque e per sempre. Non mi sognerei mai di diventare ricco con
il metal, come qualcuno di mia conoscenza invece vorrebbe. Il cuore metallico
di noi Strangers, è più forte dei quattro soldi che qualche radio locale
elargisce a persone che non sono degne di ascoltare ciò che pretendono di mandare
via radio!» (e con questo, finita la
trasmissione… stop alle telefonate… ma, soprattutto, stop alle cazzate che sono
state scritte su questa pagina, ma avevo voglia di tralasciare tutto il
discorso per sperimentare cose nuove… eh! eh! eh!).
11 febbraio, ore 9 e 30 del mattino: Roby, Fausto e Mauro, si ritrovano
in un grande negozio di elettrodomestici della città. Roby ha deciso finalmente
di spiccare il grande salto… ha deciso di dare un taglio al vecchio impianto
stereo ed acquistare un impianto sonoro hi-fi con i controcogl…
Il nostro eroe (eroe… diciamo un
comune figlio degli anni ’80) si era portato da casa qualche disco per
provare le sensazioni che i vari componenti del suo nuovo impianto hi-fi
potevano dargli, in modo da fare un acquisto il più inerente possibile al tipo
di musica che ascoltava tutti i giorni.
Era inutile acquistare un paio di casse acustiche molli: ci volevano
casse potenti, piene di toni bassi, ma, al tempo stesso, delle casse dolci,
perché, ogni tanto, Roby amava ascoltare anche qualcosa di musica classica (leggasi i “Carmina Burana”, Wagner, i
canti gregoriani), allora si orientò verso le Advent 4002, 120 watt
micidiali, belle e musicalmente coinvolgenti (anche il prezzo: 750.000 lire del vecchio conio). Per il piatto o
giradischi, si orientò verso un Technics SL-B200 dalla linea accattivante, col
braccetto a “T” e non a “S” come andava di moda allora. Poi, due belle piastre
di registrazione Teac V-330 (non si può
dire, ma a lui servivano anche per doppiare altre cassette). E, per finire,
l’amplificatore per mandare avanti il tutto: un Sansui A-9, bello, tutto nero,
con una moltitudine di entrate, e 80-watt-80 per canale che avrebbero rivoltato
tutto il condominio.
Logicamente Roby non era (ancora)
un tecnico ben preparato per assemblare tutti questi componenti nella sua tana,
e così, fu costretto a farselo portare a casa dai tecnici del negozio, ma
questo successe due giorni dopo, e per due giorni, fu costretto a leccarsi i
baffi in attesa del grande evento, ma, nonostante questo, dovette firmare
quattro cambialette da 400.000 lire l’una.
Domenica 12 febbraio, ore 10 del mattino: nella sala prove dei Warhead
al momento inutilizzata, Roby e Fausto invitarono di nuovo Francesco Pullia, il
cronista del “Messaggero”, per sviluppare con lui, in modo più completo
dell’altra volta, un’intervista sulla nuova realtà rock ternana.
Francesco era un giornalista ex-sessantottino, e aveva ancora la mente
persa nei Beatles e nei Rolling Stones, ma vivendo a contatto con i giovani
ternani, si era reso conto che i tempi stavano cambiando, che i fricchettoni (e una volta lo era stato anche Roby,
ricordate?), ormai erano una specie in via d’estinzione, una specie
protetta dal WWF, che il movimento hippy era solo una parola scritta sullo
Zanichelli.
C’era una nuova e potente vitalità nella nuova generazione figlia del
boom economico degli anni sessanta, e di questo Francesco ne fu consapevole
appena cominciò la sua chiacchierata con i due metallers.
Si parlà di tutto, dai Warhead al movimento heavy nel mondo, dai
programmi radiofonici all’abbigliamento tipico di ogni metal kid che si
rispetti, fino ad arrivare al piatto forte dell’intervista: la fanzine Terni
City Rockers, che stava riscuotendo un buon successo di critica (un po’ meno di
pubblico). Non era facile fare quello che quel gruppo di concittadini stava
facendo in una città ottusa come Terni, ma Francesco trovò entusiasmante quella
mattina e, quando il 15 marzo apparve l’articolo sulla cronaca di Terni del
quotidiano romano, sia lui che i diretti interessati, provarono un senso di
orgogliosa vanità.
13 febbraio: arriva l’impianto stereo a casa di Roby che, visto anche
che il giorno dopo era San Valentino, giorno di festa a Terni, si prese una
giornata di ferie dal lavoro per provare e riprovare le sonorità adeguate al
suo orecchio stramalato di metallo pesante.
14 febbraio: viaggetto a Roma per acquistare qualche disco nuovo.
Momento topico della giornata, l’ascolto del nuovissimo lp dei Manowar, “Hail
to England”, ascolto che non fece che confermare le ottime potenzialità del
combo americano capitanato da quell’essere chiamato Joey Di Maio, fautore di un
epic-metal tra i più coinvolgenti del pianeta terracqueo (ascoltare “Bridge of death”, please!).
Giovedì 23 febbraio: alla discoteca Manila di Campi Bisenzio, in quel di
Firenze, si esibiscono i danesi Mercyful Fate. Neanche a dirlo gli Strangers si
precipitano nel capoluogo toscano per assistere alla performance di questo
nuovissimo gruppo capitanato da una strana entità che rispondeva al nome di
King Diamond.
Per l’occasione, ai soliti, si unì anche un nuovo adepto della setta,
Silvano, un tipo che vi raccomando, dai capelli lunghissimi e con un paio di
baffetti da sparviero, che amava il metal più spiccatamente dark (leggi
Sabbath, Ozzy, Fate appunto e altre cose del genere), non disdegnando, al
contempo, tutto il resto.
Fu un viaggio memorabile: per cause ancora non decifrabili a più di
venti anni di distanza, all’andata sbagliarono clamorosamente strada. Invece di
prendere la superstrada Siena-Firenze, si ritrovarono sulle colline toscane,
passando per paesini sconosciuti (tra
cui un “Bottai, frazione di Impruneta” che divenne un’altra delle 80 carte de
“Lu mercatu de li stiavi”), arrivando nel capoluogo dopo oltre sei ire di
viaggio allucinante, anche in mezzo alla neve (da Terni a Firenze ci sono all’incirca 200/230 chilometri, quindi un
paio d’ore e mezza/tre di viaggio, non di più!).
Riavutisi dallo shock, i nostri amici entrarono nella discoteca già
brulicante di metallari d’ogni sorta.
Il concerto fu aperto dai Rollerball, un gruppo metal fiorentino
capitanato da Maxx Bell, che era uscito da poco su vinile con un mini-lp di tre
pezzi di buon heavy rock, ma, nonostante il quartetto giocasse in casa, non fu
accolto molto bene dai metal kids presenti e, dopo un paio di pezzi, fu
costretto a lasciare il palco a Sua Maestà King Diamond e soci.
I “five danish rockers” entrarono sul palco alla spicciolata e subito
partì “Doomed by the living dead” che alzò subito il tasso adrenalinico nei
metallari presenti.
L’assenza di un vero palco e di guardie del corpo di una certa stazza,
fu, però, causa di qualche piccolo incidente, tipo sputi rivolti ai rockers
danesi, spintoni per accaparrarsi “li mejo posti” ecc.
Fu poi la volta di “Curse of the Pharaohs” e di seguito “Black masses”,
“Evil”, “Satan’s fall”, “Gipsy”, “The oath”, “Into the coven” (che secondo Roby resta il miglior brano in
assoluto del Fato Misericordioso), “A corpse without a soul”, “At the sound
of demon’s bell” e, come bis finale, “Nuns have no fun”.
Un grande, grandissimo Hank Shermann, fu il vero protagonista della
serata insieme al “Re Diamante”. Hank è un guitar man veloce e preciso nei suoi
assoli al fulmicotone e nei suoi passaggi prettamente oscuri e pieni di presagi
infernali; un guitar man che si è studiato a memoria lo stile di Tipton e
Downing. Il “King” fu, invece, dal punto di vista vocale, non certo da quello
prettamente spettacolare, una parziale delusione: quel suo modo di cantare in
falsetto, lo portava, ogni tanto, a delle stonature evidenti, ma il carisma che
emanava dal suo essere così diabolicamente eccitante, sopperì a quei piccoli
inconvenienti.
Finito che fu il concerto, ritornando verso il parcheggio, Fausto ebbe
la graditissima sorpresa di vedere il finestrino posteriore della sua Mini
Clubman tutto fracassato.
A parte i danni alla macchina, si constatò che mancavano all’appello: il
radioregistratore di proprietà degli Strangers, vinto qualche mese prima ad una
caccia al tesoro fatta a Sangemini dove gli Strangers arrivarono secondi; il
piumino nuovo di Roby pagato 80.000 lire (fu
costretto a comprarselo un altro identico da “Emilio jeans” per non far capire
alla mamma che l’altro glielo avevano fregato!); un maglione di marca
sottratto al povero Bob “The flying dutchman” (e chi lo conosce sa bene cosa significò per lui, di temperamento
scozzese-genovese, quell’appropriamento indebito… ); tutta una serie di
cassette audio di proprietà di Fausto; lo zainetto di Marco dove c’era tutta la
cena al sacco dei quattro componenti l’equipaggio della Mini. E se questo non
bastasse, provate un po’ voi a farvi 250 chilometri con quattro gradi sotto
zero, neve qua e là, praticamente in maniche corte e senza il lunotto
posteriore (riuscirono a sopperire allo
sconquasso, staccando da un muro un manifesto del concerto; e fu proprio il
poster ed impedire che i quattro rimanessero congelati nell’auto, nel lungo
viaggio di ritorno!).
25 febbraio: nella cassetta delle lettere di casa D., apparve un
pacchetto. Roby lo aprì impaziente.
Aveva mandato qualche centinaio di lettere (tutte a spese sue) ai più
svariati gruppi italiani e stranieri, alle case discografiche impegnate nel
metal, a giornali e fanzines più o meno famose, cercando di stabilire contatti
con il maggior numero di persone impelagate nel movimento metallico.
I primi a rispondere all’eccitatissimo Roby, furono i triestini Steel
Crown, storico ensamble della new wave of italian heavy metal non molto simpatico
a molte persone dell’ambiente (sinceramente
Roby apprezzò moltissimo, invece, la loro disponibilità), antipatia
soprattutto per Yako De Bonis (R.I.P.),
frontman del gruppo friulano che scomparve qualche anno dopo, reo di avere, si
diceva nell’ambiente, simpatie per l’estrema destra. Erano soprattutto i
componenti di altri gruppi di quell’ondata che lo consideravano un
“neonazista”, ma io credo più per l’invidia che per motivi politici: il gruppo
non era niente male, fautore di un heavy rock con venature bluesy, una sorta di
Deep Purple molto duri (ma come kazzo si
fa a definire “neonazista” un gruppo che proviene dalla strada, che si è fatto
un mazzo tanto per riuscire ad arrivare non dico al successo ma a farsi
conoscere un po’ dappertutto, proprio no riesco a capirlo… forse mi sono perso
qualcosa!).
Gli Steel Crown spedirono il loro primo demo, completo di biografia e
foto del gruppo.
E martedì 28, arrivò il secondo pacchetto, con materiale riguardante il
gruppo cult per antonomasia del panorama metallico italiano degli eighties: i
Death SS di Steve Sylvester e Paul Chain da Pesaro.
«Oh kazzo!» pensò Roby stropicciandosi gli occhi dalla sorpresa «Mi
hanno scritto i Death SS!» Era come se Sua Eminenza Rob Halford in persona
avesse mandato il suo curriculum vitæ alla redazione di Terni City Rockers,
tanta era la fama che il gruppo marchigiano si era fatta nelle menti degli
italici metallari.
Ed arrivò il fatidico 15 marzo.
Roby arrivò trafelato a casa di Fausto alle 8 e 30 del mattino (praticamente l’alba) con sottobraccio
una copia del “Messaggero”, e, all’interno, nelle pagine dedicate alla cronaca
di Terni, un bell’articolo su tre colonne: “METALLARI
PER «VIVERE»: la provocazione dei Terni City Rockers”.
«Per la miseria!» disse Concitato Fausto all’amico «È uscito per
davvero! Guarda, parla anche delle Walkyria, pensa un po’! Se sapessero…» (mi dispiace… ma a proposito delle
Walkyria, non posso dirvi niente: un giuramento fatto col sangue mi impedisce
di parlare di questo ensamble di giovani metallare, anche se avrei una voglia
matta di… lasciamo perdere, va!).
P.S. Non riesco a mettere l'immagine del ritaglio del giornale, perdonatemi!