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martedì 1 novembre 2011

Charles Hubert Millevoye (1782 - 1/11/1816)


La caduta delle foglie

L’aura autunnal dell’ingiallito ammanto,
Tolto alle querce, avea coperto il suolo;
Nuda la selva traluceva: il canto
Sopito era nel petto all’usignuolo.

Triste e già moribondo in sull’aurora
Di sua giornata, infermo giovinetto
Lento moveva, una fïata ancora,
Pel bosco a’ suoi fiorenti anni diletto.

“Addio, foresta! Io già mancar mi sento
Nel tuo destino il mio destin m’è chiaro;
In ogni foglia che dispicca il vento,
Del mio morir non dubbi segni imparo.

O dell’arte di Coo divino alunno!
Tu sospirando mel dicevi; gialle
Vedrai farsi le foglie un altro autunno;
Ma non vedrai più rinverdir la valle.


Già morte di sue nere ombre ti fascia;
Più del pallido autunno, o giovinetto,
Hai tu pallido il viso; e cruda ambascia
Con sordo dente ti consuma il petto.

Cadran questi tuoi vaghi anni felici
Appassiti cadran, pria che appassite
Sien l’erbette ne’ prati e le pendici
Veggan di fronde povera la vite.

Io muoio, io muoio! Col suo freddo fiato
Aura letal m’è corsa in ogni vena;
Ecco il decembre io mi ritrovo allato,
Quando alle spalle aveva il maggio appena.

Frale arboscello, in un mattin distrutto,
Non avea che verzura e qualche fiore;
Ecco cascano i fior; nè dolce frutto
Fia che rallegri il ramoscel che muore.

Cadi, cadi frequente, amica foglia;
Cela il tristo sentiero; al duol materno
Cela la fossa, dove nuda spoglia
Dormirò col dì novo il sonno eterno.

Ma se sul vespro scompagnata e mesta
A cercarmi verrà la fida amante,
Tu pia col lieve tuo romor mi desta,
E felice il mio spirito abbia un istante.”


Disse e sparì; più non farà ritorno.
L’ultima foglia che spiccava il vento,
Segnò del garzoncel l’ultimo giorno;
E gli poser nel bosco il monumento.

Ma la fanciulla a piangere sull’urna
Mai non uscì: sol con vagante passo
Della valle il pastor la taciturna
Notte turbò del solitario sasso.

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