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lunedì 17 ottobre 2011

Ingeborg Bachmann (1926 - 17/10/1973)

Nella penombra

Ancora mettiamo entrambi le mani nel fuoco:
tu per il vino del lungo fermento notturno,
io per la mattinale acqua sorgiva, che non conosce i torchi.
il mantice attende il maestro, in cui confidiamo.

Non appena l'ansia lo scalda, il soffiatore giunge.
Va via prima di giorno, arriva prima del tuo richiamo:
è antico, come la penombra sopra le nostre ciglia rade.

Di nuovo egli fonde il piombo nella caldaia di lagrime:
per una coppa a te - occorre solennizzare il tempo perduto -
a me per il coccio pieno di fumo - che sarà versato nel fuoco.
Mi scontro così con te, facendo tintinnare le ombre.

Scoperto è chi esita, adesso,
chi ha scordato la formula magica.
Tu non puoi e non vuoi conoscerla,
bevi sfiorando l'orlo, dove è fresco:
come un tempo, tu bevi e resti sobrio,
le ciglia ti crescono ancora, tu ancora ti lasci guardare!

Io con amore all'attimo protesa sono già, invece:
il coccio mi cade nel fuoco, piombo mi ridiventa
qual'era. E dietro al proiettile sto,
monocola, risoluta, defilata,
e incontro al mattino lo invio.

GIORNI IN BIANCO

In questi giorni, mi levo con le betulle
e sulla fronte ravvio le ciocche di frumento
davanti a uno specchio di ghiaccio.

Amalgamato al mio respiro
sfiocca il latte:
così di buon'ora ha facile schiuma.
E dove il vetro appanno con l'alito
appare, dipinto da un dito infantile,
ancora il tuo nome: innocenza!
Dopo tanto tempo.

In questi giorni, non mi duole
di sapere dimenticare
e di essere costretta a ricordare.

Amo. Fino all'incandescenza io amo,
e ne ringrazio biblicamente il cielo.
L'ho imparato in volo.

In questi giorni, io ripenso all'albatro
che mi ha sollevata e trasportata
in un paese che è un foglio bianco.

All'orizzonte immagino,
fulgido nel suo tramonto,
il mio favoloso continente
laggiù, che mi ha congedata
già rivestita del sudario.

Vivo, e da lontano ascolto il suo canto del cigno!

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