PENSIERI D'AMORE
Oh se lontano dalle ree cittadi
in solitario lido i giorni miei
teco, mi fosse trapassar concesso!
Oh se mel fosse! Tu sorella e sposa,
tu mia ricchezza, mia grandezza e regno,
tu mi saresti il ciel, la terra e tutto.
Io ne' tuoi sguardi e tu ne' miei felice,
come di schietto rivo onda soave
scorrer gli anni vedremo, e fonte in noi
di perenne gioir fòra la vita.
Poi, quando al fine dell'etade il gelo
de' sensi avrebbe il primo ardor già spento,
e in fuga si vedrian volti i diletti
all'apparir delle canute chiome,
amor darebbe all'amistade il loco;
dolce amistade, che dal caldo cenere
delle passate fiamme altra farebbe
germogliar tenerezza, altri contenti.
Oh contenti! oh speranze!... Un importuno
fremer di vento mi riscosse, e tutta
sparve col mio delirio anche la gioia.
PER L'ONOMASTICO DELLA SUA DONNA
Donna, dell'alma mia parte più cara,
perché muta in pensoso atto mi guati
e di segrete stille
rugiadose si fan le tue pupille?
Di quel silenzio, di quel pianto intendo,
o mia diletta, la cagion. L'eccesso
dei miei mali ti toglie
la favella, e discioglie
in lagrime furtive il tuo dolore.
Ma datti pace, e il core
ad un pensier solleva
di me più degno e della forte insieme
anima tua. La stella
del viver mio s'appressa
al suo tramonto: ma sperar ti giovi,
che tutto io non morrò: pensa che un nome
non oscuro io ti lascio, e tal che un giorno
fra le italiche donne
ti fia bel vanto il dire: Io fui l'amore
del cantor di Bassville,
del cantor che di care itale note
vestì l'ira d'Achille,
Soave rimembranza ancor ti fia,
che ogni spirto gentile
ai miei casi compianse (e fra l'Insùbri
quale è lo spirto che gentil non sia?).
Ma con ciò tutto nella mente poni,
che cerca un lungo sofferir chi cerca
lungo corso di vita. Oh mia Teresa,
e tu del pari sventurata e cara
mia figlia! Oh voi, che sole d'alcun dolce
temprate il molto amaro
di mia trista esistenza, egli andrà poco
che nell'eterno sonno, lagrimando,
gli occhi miei chiuderete! Ma sia breve
per mia cagione il lagrimar: ché nulla,
fuor che il vostro dolor, fia che mi gravi
nel partirmi da questo,
troppo ai buoni funesto,
mortal soggiorno, in cui
così corte le gioie e così lunghe
vivon le pene: ove per dura prova
già non è bello il rimaner, ma bello
l`uscirne e far presto tragitto a quello
dei ben vissuti a cui sospiro. E quivi
di te memore, e fatto
cigno immortal (ché dei poeti in cielo
l'arte è pregio e non colpa) il tuo fedele,
adorata mia donna,
t'aspetterà cantando,
finché tu giunga, le tue lodi; e molto
de' tuoi cari costumi
parlerò co' Celesti, e dirò quanta
fu verso il miserando tuo consorte
la tua pietade; e l'anime beate,
di tua virtude innamorate, a Dio
pregheranno che lieti e ognor sereni
sieno i tuoi giorni, e quelli
dei dolci amici che ne fan corona:
principalmente i tuoi, mio generoso
ospite amato, che verace fede
ne fai del detto antico,
che ritrova un tesoro
chi ritrova un amico.
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