O mio Signore, l'ora si fa tarda
e presto sonerà la mezzanotte,
e le ruote del Carro docilmente
ubbidienti al tiro dei Trioni
il loro mezzo giro han già compiuto;
e qui domani donde ora le guardo
altri saranno come me a guardare,
e anche per loro sonerà più tardi
la stessa mezzanotte di stanotte.
E tu non tarderai nel tuo mistero
a scendere quaggiù per dirmi "vieni";
e mi darai la mano come il padre
al debole figliolo da la mano;
ed io ti seguirò docile dove
altri già molti prima conducesti
e altri più molti condurrai domani.
Non ti opporrai ch'io porti questa cetra
che mi donasti nell'età fanciulla
e che sonai nelle solinghe selve
e a notte modulai sotto le stelle,
fedele amica del mio mesto canto.
Tu sai che il canto è sempre un poco mesto,
anche se il cuore, eterno insaziato,
di letizia mirabile trabocchi:
è mestizia del vivere che è morte,
è letizia del morir che è vita.
Questa tua cetra, o Dio, che mi donasti
era lucente allora ed or m'avvedo
che alquanto s'è per l'uso logorata;
ma è pur la stessa, ed è pur sempre quella
che mi donasti come al bimbo dona
la mamma il gioco che lo fa felice.
Sonavo allora la mia dolce cetra,
e per le valli ne vagava l'eco
e nelle notti ne ascendeva al cielo
un lungo accordo che pareva pianto:
soavi accordi al lume della luna
nelle mature notti di settembre;
e il viator pensoso si ristava
a porgere l'orecchio al mio cantare:
ch’ei ne godesse tu ti compiacevi,
perché era grazia tua questa mia cetra,
misteriosa grazia conceduta
a me pastore quando pasturavo
la greggia al bosco e le giovenche al prato,
e tanto pure m'eran le giornate
ch'era preghiera allora quel cantare
e un paradiso mi parea la terra.
Quando verrò, mio Dio, da te chiamato
porterò meco i canti di quel tempo
ch'eran preghiera ed io non lo sapevo;
i canti che non scrissi, perché allora
inchiostro e penna m'eran sconosciuti,
ma i canti che non scrissi li ho serbati
dentro il cuore di semplice pastore
a farne offerta ai piedi del tuo trono,
quando tra breve tu mi chiamerai
al suono grave della mezzanotte.
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