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venerdì 13 luglio 2012

Il poeta del giorno: CORRADO GOVONI

Corrado Govoni (Copparo, 29 ottobre 1884 – Lido dei Pini - Anzio, 20 ottobre 1965) è stato un poeta italiano. Dopo una prima esperienza crepuscolare aderì al futurismo, staccandosene in seguito per tentare la prosa e il teatro. Govoni nacque a Tamara, una frazione del comune di Copparo, da una famiglia di agricoltori benestanti, e senza compiere studi regolari iniziò a lavorare nell'azienda familiare. Esordì giovanissimo, già nel 1903, pubblicando a sue spese due raccolte di versi intitolati Le fiale e Armonie in grigio et in silenzio, presso la casa editrice Lumachi di Firenze, nelle quali prevalgono i toni crepuscolari. Dopo la pubblicazione de Le fiale, si dedicò soprattutto all'attività di scrittore collaborando alle riviste Poesia, Lacerba, e Riviera Ligure diretta da Mario Novaro. Le raccolte che seguirono nel 1905 e 1907, Fuochi d'artificio e Gli aborti, segnano l'inizio del suo accostarsi al futurismo. Dopo il trasferimento a Milano, capitale dell'avanguardia, strinse rapporti con Marinetti e aderì con entusiasmo al movimento. Ma non fu un'adesione vera e propria: nonostante qualche concessione al gusto futurista nelle successive raccolte, Poesie elettriche del 1911 e Rarefazioni e parole in libertà del 1915, egli stesso definì tale adesione "un gioco", e la sua poesia restò essenzialmente ispirata alla natura e alla vita dei sensi. Nel frattempo si era sposato con una donna di nome Teresa, dalla quale avrebbe avuto tre figli: Aladino, Ariele e Mario. Ne L'inaugurazione della primavera, del 1915, il rapporto fra sensi e cose si fa particolarmente evidente, e il poeta supera anche il crepuscolarismo di maniera per attingere a un crepuscolarismo intimo, personale. Dal 1916 divenne collaboratore della rivista napoletana Diana che fu una delle prime ad aprirsi all'esperienza ermetica. Nello stesso anno, ritornato a Ferrara, fu costretto a vendere i suoi poderi e a dedicarsi ai mestieri più vari. Il primo periodo govoniano si conclude con l'antologia da lui curata e intitolata Parole scelte, pubblicata a Ferrara da Taddei nel 1920. Nel 1919 si era trasferito a Roma, dove, dopo la rivoluzione fascista, ottenne un impiego al Ministero della Cultura popolare. Per qualche anno fu vicedirettore della sezione del libro alla SIAE, poi segretario del Sindacato Nazionale Scrittori e Autori. Sono questi gli anni delle sue migliori opere narrative. Grato al fascismo per l'opportunità di lavoro, scrisse un poemetto in lode a Mussolini, ciò nonostante il figlio Aladino fu fucilato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Nacque quindi Aladino (1946): un Govoni diverso, sconvolto dalla tragedia, che esprime il suo dolore con toni duri e talora violenti. Nel dopoguerra lo scrittore si trovò in precarie condizioni economiche e dopo un periodo di disoccupazione accettò un impiego presso un ministero come protocollista, trascorrendo la sua vita tra la capitale e Marina di Tor San Lorenzo. Negli ultimi anni della sua vita Govoni diresse la rivista Il sestante letterario da Lido dei Pini, presso Roma, dove dimorava. Qui, segnato da una malattia agli occhi che lo aveva quasi condotto alla cecità, si spense nel 1965.


GIORNO DI VACANZA
Oh, come tutto era bello allora, e importante!
Il cielo turchino con le nuvole bianche,
la via maestra piena di polvere e di sole,
il campanile grigio che traspariva
tra le robinie  altissime fiorite,
il prato con le margherite,
il rombo del treno sul PO,
il canto de'l rigògolo lontano
come un fischio d'intesa ripetuto invano.
Il giorno di vacanza era aspettato
come l'arriv.o della più grande felicità;
nessun piacere superava quello d'andare
a suonar le campane con gli amici,
di tenersi stretti alle corde
e sentirsi tirare in su,
nella camera oscura del campanile,
dalla campana che rintoccava lassù,
più alto delle nuvole, invisibile come l'allodola;
o di tirare il mantice affumicato
dal fabbro ferraio che, ansando,
batteva in cadenza col garzone, .
con la mazza pesante
sul ferro lampeggiante dell'incudine.
Si andava a cogliere more,
le più nere e saporite,
intorno al roseo muro del cimitero...



SIEPE
All'odore crudde 
che viene dalle spine della siepe 
il tuo sangue amareggia l'amore,
e ti diventan gli occhi 
una luce cattiva pigiata. 
Sulla tùa statua che cammina 
aprendo una nuova strada nel vento 
invano battono le mie parole 
come gocce di rugiada da me scossa. 
Prego l'erba dell'argine ti venga. incontro 
con la lampada avvelenata del glgaro 
per far soffrire la tua bocca rossa.


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