«Non cercare nulla e la vita ti cercherà,
sii vuoto e tutto verrà a te,
lasciati scorrere, non tendere ad un
fine,
godi del presente nella sua pienezza,
senza preoccuparti del futuro e del
passato,
e si alzerà nella tua anima una
sinfonia…»
(Bhagvan Shree Rajuesh)
PRIMO
Questa è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso in una città
qualunque della nostra amata Italia, dove la gente vive nella normalità più
normale, allattata dalla “mamma fabbrica” e senza un briciolo d’iniziativa che
non sia dettata dalla mano del partito comunista (o chi per lui) che imperversa
sull’agglomerato urbano dalla fine della seconda guerra mondiale.
Ogni piccola idea culturale, o musicale, o qualsiasi altra cosa vi possa
venire in mente per cercare di sconvolgere le ottuse menti dei miei
concittadini, deve essere prima valutata dalle alte sfere.. ma non siamo in una
dittatura, no! qui siamo in democrazia… e che cazzo!
In questa città, che per motivi di sponsor chiameremo THYSSENKRUPP CITY,
e per motivi di spazio chiameremo TERNI, battono oltre 110.000 cuori… 220.000
occhi sono sempre vigili e in agguato… 1.100.000 dita sanno sempre indicarti la
giusta via da seguire.
Questa città, anticamente chiamata Interamna Nahars (“terra tra due
fiumi, cioè il Nera ed il Serra) fu fondata, così dicono le cronache
dell’epoca, nel 672 A. C., appena un centinaio di anni dopo Roma ma, a
differenza di Roma, non ha mai contato un emerito ciufolo sia politicamente che
fisicamente, a parte qualche cosa a livello industriale. Interamna Nahars, per
la sua importanza, venne riconosciuta come “municipium” ed i Romani le dettero
ricchezza ed un’impronta ben definita. Venne dotata di possenti mura, di una
struttura urbanistica basata sulla divisione per linee ortogonali, di terme, di
un grande anfiteatro, di un teatro. Interamna ricambiò, dando a Roma personaggi
di primo piano: lo storico Gaio Cornelio Tacito e l’imperatore Marco Claudio
Tacito. La fortuna di questa città fu dovuta all’abbondanza delle sue acque ed
alla sua posizione strategica lungo un’importantissima via di comunicazione, la
via Flaminia. Ma questa fortuna si tramutò in malasorte alla caduta dell’Impero
Romano. Proprio a causa della sua posizione, Interamna fu più volte devastata e
saccheggiata dai vandali. Dopo un periodo di sottomissione al Ducato longobardo
di Spoleto, venne nuovamente distrutta dall’Arcivescovo Cristiano di Magonza
per ordine di Federico Barbarossa nel 1174. Nel XIII secolo la città si apre
alla predicazione di San Francesco che ne fa una delle sue mete preferite. Del
passaggio del “Poverello di Assisi” restano importanti tracce sia in città che
nel suo comprensorio. Nei secoli successivi la città rialza la testa. Si dota
di un proprio statuto e, dal 1353, amplia le proprie mura. Vengono aperti nuovi
canali e risistemati quelli più antichi, non mancano neanche le lotte intestine
tra le fazioni, prima tra Guelfi e Ghibellini, poi tra Nobili e Banderari. Nel
1574 si arriva ad una rivolta dei Banderari che uccisero il governatore
pontificio e sterminarono alcune famiglie nobili, provocando una durissima
repressione da parte del Papa che inviò delle truppe al comando di Monsignor
Montevalenti. Si arriva così alla normalizzazione, verso il XVII secolo, sotto
il governo pontificio. Vengono costruiti nuovi ed importanti palazzi per i
signori, viene rifatto il Duomo, viene edificata la basilica di San Valentino,
primo Vescovo di Terni, che diventa anche il patrono della città, nonché, in
seguito, anche patrono degli innamorati.
Ma la svolta avverrà dopo il 1884, anno in cui il governo decide di
scegliere Terni come sede delle più grandi industrie siderurgiche. In posizione
sicura e ben protetta e ricca di acque, Terni era il posto ideale dove forgiare
l’acciaio che avrebbe trasformato l’Italia in una potenza mondiale.
La seconda guerra mondiale cambia radicalmente l’aspetto della città. I
bombardamenti anglo-americani (tra il ’44 e il ’45 se ne conteranno 108)
devastano completamente la città, mietendo vittime tra la popolazione civile
(oltre mille), ma lasciando praticamente intatta l’area industriale.
La città è dunque da ricostruire, ma l’acciaieria continua a giocare un
ruolo importante anche nell’Italia del dopoguerra, almeno fino all’avvento dei
“mangiacrauti” Thyssen & Krupp e alla conseguente crisi dell’era berlusconiana:
parecchi operai hanno dovuto lasciare la catena di montaggio e non si è saputo
trovare un’alternativa.
Io un’idea ce l’avrei:
abbattiamo tutta l’Acciaieria e costruiamo Disneyland Italy al suo posto!
Ma tutto questo cosa c’entra con questa storia?
Non lo so, forse serve a far capire l’ambiente in cui è cresciuto Roby.
Chi è Roby? Roby è quell’amico mio grassottello che, in un giorno di fine
primavera del 1989, ebbe la malaugurata (o benemerita) idea di dare un bel
colpo di spugna a dieci anni di vita piena di adrenalina, di energia allo stato
puro, di forti emozioni, di grandi occasioni buttate al vento, di sentimenti veri:
insomma, dieci anni di vita vera.
VERSO LA FINE DELLA STORIA
«A Fà, che ce l’hai tu l’accordatore?» urlò Fabio all’altro chitarrista
dei Warhead. Tutto intorno era un gran casino, gente che urlava, gente che
chiacchierava del più e del meno, rimbombi strani e sinistri, gente che giocava
a pallone, e l’insonorizzazione del palasport lasciava un po’ a desiderare ed
era necessario urlare per farsi capire anche a due metri di distanza.
Fausto fece cenno di si con la testa e intanto controllava i livelli e i
toni del suo Marshall e della piccola pedaliera degli effetti sotto le Nike, e
provava la musicalità della sua Gibson diavoletto.
Dall’altra parte del palco, Roby, stava ripassando mentalmente la
scaletta dei pezzi da eseguire, con gli occhi leggermente socchiusi, in una
sorta di meditazione Zen, e, nel frattempo, regolava il suo Fender Bass
comprato da poco per duecentomila lirette da Giuseppe dei Synthesis.
Dietro, su di una piccola pedana rialzata, seduto su un piccolo
sgabello, c’era Lucio, il batterista dei Warhead, intento a regolare la pelle
del suo rullante. Era un’operazione non facile in mezzo a tutto quel casino e
poi Lucio era maniacale nel suo lavoro, era un perfezionista e non avendo
tecnici che facessero quel lavoro per lui, come tutte le bands che si
rispettano, continuava a battere le bacchette sul tamburo fino a che il suono
non risultasse gradito al suo orecchio.
Giù in fondo, accanto a Mary, a Marco e a Bruno che, come al solito,
avevano accompagnato il gruppo ternano in quella trasferta in terra abruzzese,
c’era quell’armadio di Dario, il tecnico audio, un ragazzo di Montesilvano dall’imponente
aspetto, che, per l’occasione, stava dando una mano al gruppo ternano.
Si erano fatte, ormai, quasi le sette del pomeriggio di quel 27 maggio
dell’anno di grazia 1989, lo stomaco cominciava a brontolare e occorreva andare
a mangiare qualcosina prima del concerto in quel palasport della cittadina
balneare in provincia di Pescara.
Roby aveva in testa quel discorso da fare agli altri membri del gruppo:
quella drastica decisione presa la settimana prima durante un concerto a
Pesaro, non voleva lievitare dal suo cervelletto… gli mancava il coraggio di
dire agli altri che quello sarebbe stato il suo ultimo concerto con i Warhead;
in fondo già sapeva che questa sua decisione non sarebbe stata molto gradita,
anche perché si stava prospettando una mini tournèe su al nord, con concerti a
Milano, Torino e Genova, e non sarebbe stato facile trovare un altro bassista
(lui era già il quinto) nel giro di una quindicina di giorni, fargli imparare
tutti i pezzi e presentarlo come il nuovo bass-man dell’ensamble; e poi c’era
l’inaugurazione del nuovo negozio di Roby, inaugurazione che stava portando via
allo sciagurato una marea di energie mentali e fisiche.
Gli anni ottanta erano agli sgoccioli, e quel fine maggio era particolarmente
caldo ed asfissiante; l’umidità all’interno del palasport poi, era intorno al
130%, ma non era questo che faceva sudare Roby come un maiale incazzato, e non
era neanche quel bel piatto di pasta e ceci con rosmarino e olio di
peperoncino: quel maledetto discorso lo faceva star male, e di brutto: Fausto,
Fabio e Lucio non erano solo colleghi musicali, ma amici con cui aveva diviso
quasi dieci anni della sua esistenza, da quando, in quell’ormai lontano giugno
1981, a casa per una licenza militare, aveva conosciuto un gruppo di ragazzi
nuovi, che gli furono presentati da Mauro, suo amico da sempre.
Ah ecco, meno male... quando ho iniziato a leggere che avevi cominciato con la fondazione di Interamna Nahars me so' detto "Cazzo, 'stu giro l'ha presa alla lontana. E mò quanno affittamo?".
RispondiEliminaDaje Robbè, la cosa se fa interessante... già sento l'anni '80 che bussano alla porta. Devo decide se aprije o fa' finta de non esse in casa.