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martedì 24 gennaio 2012

Il poeta del giorno: DINO CAMPANA

Nato a Marradi (Firenze) nel 1885 (morto a Castel Pulci, Firenze, nel 1932) Dino Campana visse una giovinezza travagliata. Interruppe gli studi di chimica pura all'università di Bologna, dopo un ricovero al manicomio di Imola (1906) iniziò una serie di vagabondaggi in Svizzera e Francia (1907). Nel 1908 lavora in Argentina come bracciante. E' poi a Odessa, Anversa, Bruxelles, Paris. Nel 1909 è di nuovo ricoverato in una clinica di Firenze. Riprende, due anni dopo, senza fortuna, gli studi universitari. Nell'autunno 1913 porta a Firenze, per consegnarlo a Soffici e Papini il quadernetto dei suoi Canti orfici ma nella primavera successiva è costretto a riscriverli perché Soffici ha perduto il manoscritto. Li fa stampare privatamente da un tipografo di Marradi (1914). Segue una nuova fase di viaggi, a Torino e poi a Ginevra, cui si alternano un altro soggiorno in clinica e una tumultuosa relazione con Sibilla Aleramo nel 1916-17. E' ricoverato definitivamente nel manicomio di Castel Pulci nel 1918.
Molti suoi scritti usciranno postumi: Inediti (1942), Taccuino (1949), Canti orfici e altri scritti (1952), Lettere (1958), Taccuinetto faentino (1960). Nel 1970 è stato pubblicato il mano scritto perduto, Il più lungo giorno , recuperato tra le carte di Soffici.



In un momento

In un momento
sono sfiorite le rose
i petali caduti
perché io non potevo dimenticare le rose
le cercavamo insieme
abbiamo trovato delle rose
erano le sue rose erano le mie rose
questo viaggio chiamavamo amore
col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
che brillavano un momento al sole del mattino
le abbiamo sfiorate sotto il sole tra i rovi
le rose che non erano le nostre rose
le mie rose le sue rose.



Notturno teppista

Firenze nel fondo era gorgo di luci di fremiti sordi:
Con ali di fuoco i lunghi rumori fuggenti
Del tram spaziavano: il fiume mostruoso
Torpido riluceva come un serpente a squame.
Su un circolo incerto le inquiete facce beffarde
Dei ladri, ed io tra i doppi lunghi cipressi uguali a fiaccole spente
Più aspro ai cipressi le siepi
Più aspro del fremer dei bussi,
Che dal mio cuore il mio amore,
Che dal mio cuore, l'amore un ruffiano che intonò e cantò:
Amo le vecchie troie
Gonfie lievitate di sperma
Che cadono come rospi a quattro zampe sovra la coltrice rossa
E aspettano e sbuffano ed ansimano
Flaccide come mantici.

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