La costituzione del PCd'I, l'antifascismo e la Liberazione
Il Congresso socialista aveva appena rifiutato, con solo un quarto di voti contrari, come previsto nelle 21 condizioni per l'adesione all'Internazionale Comunista, di espellere i membri della corrente riformista del Partito. La minoranza, che rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, e che abbandonò il teatro Goldoni riunendosi al S. Marco, era costituita dal gruppo "astensionista" che faceva capo ad Amadeo Bordiga, che guidò per primo il nuovo Partito, dal gruppo dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Angelo Tasca, da parte della corrente massimalista di Andrea Marabini, Antonio Graziadei e Nicola Bombacci e dalla stragrande maggioranza dellaFederazione Giovanile Socialista (FGS).
Il nuovo Partito era un partito rigorosamente rivoluzionario e la sua linea politica era fondata sulla esclusione di qualsiasi tipo di accordo con i socialisti, e questo provocò, anche a causa della scissione dell'ala riformista del PSI, avvenuta nel 1922, i primi attriti con l'Internazionale comunista, la quale pose con forza il tema della riunificazione con il PSI di Serrati. Nel 1924 Antonio Gramsci, con l'appoggio dell'Internazionale comunista, divenne segretario nazionale e il passaggio della segreteria da Bordiga a Gramsci fu sancito definitivamente nel1926 con l'approvazione durante il III Congresso nazionale a Lione delle tesi politiche di Antonio Gramsci con oltre il 90% dei voti.
Il PCd'I venne soppresso dal regime fascista il 5 novembre 1926 ma continuò la sua esistenza clandestina, i cui militanti in parte rimasero in Italia, dove fu l'unico partito antifascista ad essere presente seppure a livello embrionale, in parte emigrarono all'estero, soprattutto in Francia e in URSS. Con l'arresto di Gramsci, la guida di fatto passò a Togliatti, che rafforzò ulteriormente i rapporti con l'Unione Sovietica. Questi rapporti si deteriorarono bruscamente nel 1929 a causa della presa di posizione di Tasca, che aveva sostituito Togliatti a Mosca, in favore del leader della destra sovietica Nikolai Bucharin, che si contrapponeva in quel periodo a Stalin. Dopo che tutta la linea del PCd'I, da Lione in poi, fu messa in discussione, Togliatti espulse Tasca e allineò di nuovo il partito sulle posizioni di Stalin, che erano ritornate a essere piuttosto settarie. Infatti il PCd'I fu costretto ad associare ai socialisti italiani e al giovane movimento di Giustizia e Libertà la teoria del socialfascismo, che poneva le sue basi sull'equiparazione tra fascismo e socialdemocrazia, intesi, entrambi, come metodi utilizzati dalla borghesia per conservare il potere.
Con la crescita del pericolo nazista l'Internazionale comunista cambiò strategia e tra il 1934 e il 1935 lanciò la linea di riunire in un fronte popolare tutte le forze che si opponevano all'avanzata dei fascismi. Il PCd'I, che aveva faticato molto per accettare la svolta del 1929, ebbe una sofferenza ancora maggiore per uscire dal settarismo a cui quella svolta sembrava averlo destinato, in quanto, nell'Italia fascista, i militanti si erano trovati da soli a fronteggiare la dittatura. Ma un po' per volta il lavoro di Palmiro Togliatti e di Ruggero Grieco, che resse il partito dal 1934 al 1938, diede i suoi frutti, e, nell'agosto del 1934, fu sottoscritto il patto d'unità d'azione tra socialisti e comunisti, che, nonostante i distinguo, segnò la riapertura del dialogo tra i due partiti operai.
La linea politica del PCd'I andò di nuovo in crisi con il Patto Ribbentrop-Molotov del 1939 in quanto fu impossibile conciliare l'unità antifascista con l'approvazione del patto fra sovietici e nazisti ed il PCd'I fu costretto ad appiattirsi sulle posizioni dell'Internazionale che in quel periodo teorizzava per i comunisti l'equidistanza tra i diversi imperialismi. La situazione si aggravò ulteriormente quando, con l'invasione tedesca, il PCd'I si ritrovò in clandestinità anche a Parigi. Togliatti fu arrestato, ma non essendo stato riconosciuto, se la cavò con pochi mesi di carcere e dopo aver riorganizzato un embrione di centro estero del Partito, andò a Mosca dove l'Internazionale, avendo sciolto definitivamente l'Ufficio politico e il Comitato centrale, gli affidò la direzione solitaria del PCd'I.
La situazione all'interno del Partito si tranquillizzò grazie alla Dichiarazione di guerra di Benito Mussolini a Francia ed Inghilterra del 1940, che fece sì che si ricreassero le condizioni per una nuova unità antifascista, suggellata nel 1941 a Tolosa da un accordo tra PCd'I, PSI e GL. In Italia dal 1941 il Partito, anche grazie all'importante lavoro di Umberto Massola, cominciò a riorganizzare la rete clandestina e a fare sentire la propria voce, anche attraverso la diffusione di un bollettino, il Quaderno del lavoratore, per mezzo del quale venivano diffuse le posizioni ufficiali del PCd'I, dettate direttamente da Togliatti attraverso Radio Mosca. Nello stesso tempo ripresero forza numerosi piccoli gruppi che, spesso con linea politica autonoma, continuavano dall'interno del paese la loro lotta al fascismo.
Il 15 maggio 1943 il Partito, in seguito allo scioglimento dell'Internazionale Comunista, assunse la denominazione di Partito Comunista Italiano(PCI). Quando, il 25 luglio del 1943, Mussolini fu costretto a dimettersi, l'iniziativa del Partito aumentò sensibilmente sia per i maggiori margini di manovra che per la conseguente uscita dal carcere ed il ritorno dall'esilio di numerosi dirigenti comunisti. Il peso del PCI in Italia era divenuto molto importante anche perché nel nord Italia la guerra con i tedeschi e con i fascisti della Repubblica di Salò era ancora tutta da combattere e dall'autunno del 1943 i comunisti, sotto la guida di Luigi Longo, già capo delle Brigate Internazionali in Spagna, e di Pietro Secchia, furono la parte preponderante dei gruppi clandestini della resistenza italiana, organizzati nelle Brigate Garibaldi sulle montagne e nei GAP e nelle SAP nelle città. Oltre alla lotta armata, il PCI continuò il suo lavoro politico continuando nell'organizzazione degli operai e promuovendo scioperi ed agitazioni soprattutto nei primi mesi del 1944. La dichiarazione di guerra del Governo Badoglio ai danni della Germania pose il PCI dinnanzi ad un bivio: continuare nella linea, richiesta dalla base, di contrapposizione frontale a Badoglio e alla Monarchia o l'assunzione di responsabilità di governo.
Nel marzo del 1944 Togliatti, dopo aver avuto un incontro con Stalin, tornò in Italia e praticò quella che rimase famosa come la svolta di Salerno con la quale il PCI, anteponendo la lotta antifascista alla deposizione della Monarchia, sancì il proprio ingresso nel Governo. L'ingresso del PCI nei Governi formati da Badoglio e dal socialista riformista Ivanoe Bonomi andava letto, nell'intenzione di Togliatti, come il tentativo di accreditarsi come forza responsabile e fondatrice della democrazia italiana.
Per ottenere questo era necessario che il partito fosse ricostruito su basi diverse e diventasse un partito nuovo ovvero un moderno partito di massa con profonde radici nei luoghi di lavoro e aderente alla società. Il Partito cominciò pertanto una crescita costante data sia dal punto di vista dell'organizzazione, che si sviluppò ormai capillarmente in tutte le città italiane, che in termini di numero di iscritti, passati dai 500.000 del 1944 al 1.700.000 del 1945, che lo portarono a diventare il più importante e grande partito comunista dell'Europa occidentale.
L'Italia repubblicana e i rapporti con l'URSS
A seguito della Liberazione, Palmiro Togliatti diede vita ad una politica, che tenne insieme l'esigenza di consolidamento della democraziaitaliana ed il sentimento rivoluzionario ed il mito dell'URSS della base del partito, concretizzato nell'adesione, fino al suo scioglimento, alCominform, l'organizzazione dei partiti comunisti filosovietici. Tuttavia nonostante nel maggio 1947 Alcide De Gasperi avesse formato un governo senza il PCI ed il PSI, il contributo costruttivo dei comunisti nell'Assemblea costituente non mutò al punto che il 1º gennaio 1948 entrò in vigore, dopo essere stata approvata da tutti i maggiori partiti, la Costituzione italiana.
Il PCI si consolidò, dopo la scissione socialista del 1947, come la seconda forza della democrazia italiana dopo la Democrazia cristiana. Da allora e per circa 30 anni il PCI, pur rimanendo sempre all'opposizione, conseguì una crescita elettorale costante che si interruppe solo verso la fine degli anni settanta al termine della stagione della solidarietà nazionale.
Negli anni successivi, pur continuando ad appoggiare l'URSS anche nella drammatica crisi d'Ungheriadurante la rivoluzione ungherese del 1956, il PCI di Togliatti diede inizio ad una nuova politica di partito nazionale imboccando la via italiana al socialismo, dopo che personaggi significativi, in maggioranza intellettuali, avevano abbandonato il partito protestando contro l'adesione del PCI alla repressione sovietica. Tra coloro che, in quella situazione, manifestarono una posizione di dissenso, pur senza abbandonare il Partito, va ricordato il leader della CGIL Giuseppe Di Vittorio. La principale conseguenza politica degli avvenimenti del1956 fu il definitivo tramonto del Patto d'unità d'azione tra il PCI e il PSI. Il PSI di Pietro Nenni, che negli anni precedenti aveva profondamente subito il fascino dell'Unione Sovietica di Stalin, ripensò, prendendone completamente le distanze, la sua posizione riguardo al più importante Stato socialista e diede avvio al suo percorso di avvicinamento alla DC.
Con la fine del centrismo e con l'inizio dei governi di centro-sinistra il PCI di Togliatti non mutò la sua posizione di opposizione al governo. Il 21 agosto del 1964 morì a Jalta Palmiro Togliatti. I suoi funerali, che videro la partecipazione di oltre un milione di persone, costituirono il più imponente momento di partecipazione popolare che la giovane Repubblica italiana aveva conosciuto fino a quel momento. L'ultimo documento di Togliatti, che ne costituiva il testamento politico e che fu ricordato come il memoriale di Jalta, ribadiva l'originalità e la diversità di vie che avrebbero consentito la costruzione di società socialiste, "unità nella diversità" del movimento comunista internazionale. Il PCI lasciato da Togliatti era un Partito che, pur continuando a rimanere ancorato al "centralismo democratico", cominciava a sentire l'esigenza di rendere visibili quelle che, al suo interno, erano le diverse sensibilità e opzioni politiche. Il primo Congresso dopo la morte di Togliatti, l'XI svoltosi nel gennaio del 1966, fu il teatro del primo scontro svoltosi "alla luce del sole" dalla nascita del Partito nuovo. Le due linee politiche che si fronteggiarono furono quella di "destra" di Giorgio Amendola e quella di "sinistra" diPietro Ingrao. Amendola, sebbene da solo non avesse la maggioranza assoluta, riuscì a mettere Ingrao in minoranza. Il voto contrario di Ingrao, per l'autorevolezza dell'esponente comunista che godeva di numerosi consensi sia all'interno che all'esterno del Partito, sancì, per la prima volta, la legittimità al dissenso politico. Il lavoro di sintesi, rivolto al "rinnovamento nella continuità", tra le diverse anime del Partito suggellò la leadership di Luigi Longo, eletto Segretario generale dopo la morte di Togliatti e degno continuatore delle politiche del defunto leader.
Nel ruolo di successore di Togliatti i due candidati più forti erano proprio Amendola ed Ingrao, ma Longo, per le garanzie di unità e continuità che dava la sua figura, che aveva ricoperto con Togliatti la carica di vicesegretario e aveva sempre con lealtà ed efficacia coadiuvato il Segretario, costituiva la soluzione migliore per la segreteria del Partito. Longo continuò nella definizione di una politica nazionale del PCI ed infatti a differenza del 1956, nel 1968, il partito si schierò contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia.
Nel 1972 divenne segretario Enrico Berlinguer, che, sulla suggestione della crisi cilena, propose un compromesso storico tra comunisti e cattolici democratici, che avrebbe dovuto spostare a sinistra l'asse governativo, trovando qualche sponda nella corrente democristiana vicina adAldo Moro.
I rapporti con l'Unione Sovietica si allentarono ulteriormente quando, a opera dello stesso Berlinguer, iniziò la linea euro-comunista che cercò una qualche indipendenza dai sovietici. L'Eurocomunismo però durò poco a causa del riallineamento del Partito Comunista Francese all'URSS, il calo del peso elettorale dei comunisti spagnoli e l'acutizzarsi delle differenze interne nello stesso PCI: ma le differenze tra il PCI e il PCUS erano ormai moltissime. In seguito, nel 1981, Berlinguer giunse a dichiarare conclusa la spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre.
La solidarietà nazionale [modifica]
Nella seconda metà degli anni settanta si acuirono le tensioni sociali e politiche. La crisi economica-energetica, la disoccupazione, gli scioperi, il terrorismo conversero verso quello che molti hanno definito l'annus horribilis delle rivolte: il 1977: echi sessantottini vibravano di nuovo fra gli studenti, riverberi della lotta di classe animavano il "confronto", cioè il conflitto, fra i sindacati e le imprese, e molti da molte classi sociali si rivoltavano in armi contro avversari politici ed istituzioni.
Anche il PCI contestò sempre più fortemente la pregiudiziale che impediva al suo partito di accostarsi alla gestione del Paese. L'iniziativa fu lasciata a Giorgio Amendola, rappresentante prestigioso (anche per tradizione familiare) dell'ala moderata del partito e uomo capace di dialogare con i non comunisti, che proclamò che l'ora era suonata per "far parte a pieno titolo del governo". Nel febbraio del 1977 fu Ugo La Malfa a dichiarare per primo, pubblicamente, la necessità di un governo di emergenza comprendente i comunisti, ma la proposta fallì per il dissenso democristiano e socialdemocratico.
Il 1978 fu per il PCI l'anno del destino. Iniziò presto, con un incontro subito dopo Capodanno, fra Berlinguer e Bettino Craxi, al termine del quale fu rilasciata una nota indicativa di ufficiale "identità di vedute", espressione tradotta dagli analisti come una sorta di "via libera" (o di "non nocet") del PSI alle manovre del segretario comunista. Delle quali, già cominciate da molti mesi, si poteva ora parlare anche pubblicamente. Dopo una paziente opera di ricerca di possibili strategie di accesso pur parziale al governo, Berlinguer pareva aver individuato in Aldo Moro l'interlocutore più adatto alla costruzione di un progetto concreto.
Aldo Moro era il presidente della DC, e condivideva con il segretario del PCI Enrico Berlinguer alcune caratteristiche personali che sembravano predisporre al dialogo: erano entrambi sottili intellettuali, lungimiranti politici ed abili nonché pazienti strateghi. Fu Moro a parlare per primo di possibili "convergenze parallele", sebbene non propriamente in relazione ai desiderata del politico sardo, ma fu lo stesso Moro a mobilitare l'apparato democristiano per verificare la possibilità di convertire ad utile accordo la sterile distanza che sino ad allora aveva diviso DC e PCI.
Dai clandestini iniziali contatti, sinché possibile per interposta persona, si passò in seguito ad una minima frequentazione diretta nella quale andava assumendo forma e contenuti il progetto del compromesso storico. Moro individuava nell'alleanza col PCI lo strumento che avrebbe consentito di superare il momento di gravissima crisi istituzionale e di credibilità dello stesso apparato democratico repubblicano (screditato anche dalle campagne comuniste sulla questione morale), coinvolgendo l'opposizione nel governo e dunque assicurando il minimo necessario di consenso perché il Paese potesse sopravvivere a se stesso in simili ambasce.
Nella DC, Berlinguer vedeva invece primariamente (ma non solo semplicemente) quel possibile cavallo di Troia grazie al quale avrebbe potuto portare finalmente il suo partito alla responsabilità di governo. Entrambi, è stato sostenuto, potevano aver condiviso il timore che la crisi in cui versava il Paese potesse dar adito a soluzioni di tipo cileno, come già anni prima paventato dallo stesso Berlinguer. Il compromesso storico, in quest'ottica, poteva porre il paese al riparo da eventuali azioni dell'uno e dell'altro fronte.
Ad ogni buon conto, Berlinguer fu intanto ammesso, primo comunista italiano, a lavori para-governativi, come le riunioni dei segretari dei partiti della maggioranza, in qualità di esterno interessato.
Mentre Moro veniva definitivamente prosciolto dagli addebiti giudiziari in relazione allo scandalo Lockheed, che lo aveva infastidito sin da quando aveva cominciato a guardare ad una possibile intesa coi comunisti, si preparava nel marzo del 1978 una riedizione del governo Andreotti, cui il PCI avrebbe dovuto smettere di fornire appoggio esterno (nel precedente governo detto delle "non sfiducia", dal 1976, aveva garantito l'astensione, per la prima volta rinunciando al voto d'opposizione), offrendo il voto favorevole ad un monocolore DC, in attesa di una fase successiva nella quale ammetterlo definitivamente ed a pieno titolo nella compagine governativa.
Nasceva, questo governo, con alcuni membri assolutamente sgraditi al PCI, come Antonio Bisaglia, Gaetano Stammati e Carlo Donat Cattin, la cui inclusione nella compagine ministeriale era stata operata da Andreotti, nonostante le richieste di esclusione da parte del PCI; secondo una versione accreditata molti anni dopo, insieme con Alessandro Natta, capogruppo alla Camera, Berlinguer dovette sveltamente decidere se proporre alla Direzione del partito già convocata per il pomeriggio dello stesso giorno di ritirare l'appoggio al governo. Ma la stessa mattina del 16 marzo, giorno previsto per la presentazione parlamentare del governo tanto faticosamente messo insieme, Moro fu rapito (e sarebbe poi stato ucciso) dalleBrigate Rosse. Berlinguer intuì immediatamente la "calcolata determinazione" di un attacco che pareva studiato per mandare a monte tutto il lavoro occorso per raggiungere la solidarietà nazionale e propose di concedere a questo pur non accetto governo la fiducia nel più breve tempo possibile, per potergli assicurare pienezza di funzioni in un momento cruciale della democrazia italiana.
La fiducia fu dunque votata dal PCI insieme a DC, PSI, PSDI e PRI, ma non senza che Berlinguer precisasse che l'espediente di Andreotti, che suonava di repentina modifica unilaterale di accordi lungamente elaborati, costituisse "invece un Governo che, per il modo in cui è stato composto, ha suscitato e suscita, com'è noto (ma io non voglio insistere in questo particolare momento su questo punto), una nostra severa critica e seri interrogativi e riserve".
Il ritorno all'opposizione
Se Moro non fosse stato rapito, il PCI avrebbe dato battaglia ad Andreotti, ma "sia pure faticosamente e in modo non pienamente adeguato alla situazione", gli fu risparmiato. Durante il sequestro Moro, il PCI fu tra i più decisi sostenitori del cosiddetto "fronte della fermezza", del tutto contrario a qualsiasi tipo di trattativa con i terroristi, i quali avevano chiesto la liberazione di alcuni detenuti in cambio di quella dello statista.
Dopo il tragico epilogo della vicenda di Moro, l'unico effetto di rilievo sulla DC parvero le dimissioni di Francesco Cossiga, che era ministro dell'interno. Il PCI restava fuori della compagine di governo, Berlinguer non partecipava più alle riunioni insieme ai segretari dell'arco costituzionale (anche se a livello parlamentare i contatti continuavano ad essere tenuti dal capogruppoUgo Pecchioli), il governo Andreotti restava dov'era, sempre con Bisaglia e Stammati a bordo.
Fu nel giugno del 1978, un mese dopo la morte di Moro, che esplose con inaudita virulenza il caso del presidente della Repubblica Giovanni Leone, che grazie ad una campagna cui il PCI aveva già dato un contributo fondamentale (e che a questo punto omise di ritirare), fu costretto alle dimissioni. Oltre al rancore verso Andreotti, cui si doveva un governo diverso da quello concordato (e che avrebbe dovuto presentare dimissioni almeno di cortesia, in caso di elezione di un nuovo capo dello Stato), si è supposto che la campagna scandalistica sia stata ulteriormente indurita da Berlinguer per poter far salire al Quirinale qualcuno meno avvinto dalla pregiudiziale anticomunista di quanto non fossero stati i presidenti precedenti.
L'elezione di Sandro Pertini, oltre che gradita al PCI, piaceva a molti settori della politica. Da parte dei socialisti, nel cui partito militava, vi era ovviamente la soddisfazione per la nomina di una figura amica, che avrebbe potuto accrescere la capacità di influenza del partito craxiano. Da parte democristiana (dalla quale si era barattata la candidatura con la persistenza al governo), Pertini era ritenuto poco pericoloso, almeno fintantoché fossero proseguiti i buoni rapporti con il Garofano. Ed anche i post-risorgimentali repubblicani, guardavano a possibili riprese di prestigio (e di influenza politica) con un nuovo scenario che premiava con la carica uno degli storici partiti italiani.
L'entusiasmo di Berlinguer fu però di breve durata, poiché non solo Andreotti non si dimise, ma addirittura - dopo la caduta determinata dall'opposizione comunista all'ingresso nel primosistema monetario europeo - successe a se stesso, con l'Andreotti-quinquies, sul principio dell'anno successivo, per governare le inevitabili elezioni anticipate. Il PCI fu quindi escluso dalle relazioni fra i partiti della maggioranza, e si apprestò a tornare al suo ruolo di opposizione.
Il PCI si ritrovò di nuovo all'opposizione: nel decennio successivo si ritrovò completamente isolato in quanto il PSI di Bettino Craxi dopo avere a lungo oscillato, governando a livello locale sia con la DC che con il PCI, formulò stabilmente, a livello nazionale, un'alleanza di governo con la DC e con gli altri partiti laici, PSDI, PLI e PRI, denominata pentapartito, facendo pesare sempre di più, nelle richieste di posti di potere, il suo ruolo di partito di confine.
Berlinguer, per uscire dall'isolamento, provò a ricostruire delle alleanze nella base del Paese, cercando convergenze con le nuove forze sociali che chiedevano il rinnovamento della società italiana e riprendendo i rapporti con quello che era il tradizionale riferimento sociale del PCI: la classe operaia. In quest'ottica vanno lette le battaglie contro l'installazione degli Euromissili, per la pace e, soprattutto, nella vertenza degli operai della Fiat del 1980. Il PCI in quella lotta arrivò addirittura a scavalcare il ruolo della CGIL e la sconfitta finale e quella riportata anni dopo nel referendum, che era stato fortemente voluto da Berlinguer, per difendere la scala mobile cancellata da Craxi, segnarono in maniera indelebile il Partito.
Dopo la morte di Berlinguer la segreteria passò ad Alessandro Natta, ma il partito, pur avendo ottenuto per la prima volta la maggioranza relativa nelle elezioni europee del 1984 e pur mantenendo una consistente base di massa, aveva ormai iniziato un lento e graduale declino. Nell'aprile del 1986 fu tenuto, anticipatamente a causa della disfatta dell'anno precedente nelle elezioni regionali, il XVII Congresso nazionale del PCI. Come risposta alla crisi il gruppo dirigente del Partito tentò, grazie alla decisiva spinta dell'area "migliorista" di Giorgio Napolitano, un riposizionamento internazionale del PCI proponendo il totale distacco dal movimento comunista per essere, a tutti gli effetti, parte del Partito Socialista Europeo. A questa linea si oppose duramente un piccolo gruppo organizzato da Cossutta che, in minoranza all'interno del Partito, aveva dato vita ad una vera e propria corrente organizzata sin da quando, in occasione del golpe polacco di Jaruzelski, Berlinguer aveva proclamato esaurita la "spinta propulsiva della rivoluzione d'Ottobre".
Nel maggio 1988 Natta è colto da ictus. Non è grave, ma gli vien fatto capire da alti dirigenti che non è più gradito come segretario. Natta si dimette e al suo posto viene messo il vice Achille Occhetto.
Nel marzo 1989 Occhetto lancia il "nuovo PCI" come uscirà dai lavori del XVIII Congresso nazionale, il primo a tesi contrapposte nella storia del partito (sebbene non fu garantita una piena ed effettiva parità di condizioni al documento della minoranza).
Il 19 luglio 1989 viene costituito un governo ombra ispirato al modello inglese dello Shadow Cabinet, per meglio esplicitare l'alternativa di governo che il PCI intendeva rappresentare.
La Caduta del Muro e lo scioglimento del PCI
Nel Partito si accese una discussione ed il dissenso, per la prima volta, fu notevole e coinvolse ampi settori della base. Dirigenti nazionali di primaria importanza quali Pietro Ingrao, Alessandro Natta ed Aldo Tortorella, oltre che Armando Cossutta, si opposero in maniera convinta alla svolta.Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto annunciò "grandi cambiamenti" a Bologna in una riunione di ex partigiani e militanti comunisti della sezione Bolognina. Fu questa la cosiddetta "Svolta della Bolognina" nella quale il leader del Partito propose, prendendo da solo la decisione, di aprire un nuovo corso politico che preludeva al superamento del PCI e alla nascita di un nuovo partito della sinistra italiana.
Per decidere sulla proposta di Occhetto fu indetto un Congresso straordinario del Partito, il XIX, che si tenne a Bologna nel marzo del 1990. Tre furono le mozioni che si contrapposero:
- la prima mozione, intitolata Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica era quella di Occhetto, che proponeva la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice ed aperta a componenti laiche e cattoliche, che superasse il centralismo democratico. Il 67% dei consensi ottenuti dalla mozione permise la rielezione di Occhetto alla carica di Segretario generale e la conferma della sua linea politica.
- la seconda mozione, intitolata Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra fu sottoscritta da Ingrao e, tra gli altri, da Angius, Castellina, Chiarante e Tortorella. Il PCI, secondo i sostenitori di questa mozione, doveva si rinnovarsi, nella politica e nella organizzazione, ma senza smarrire se stesso. Questa mozione uscì sconfitta ottenendo il 30% dei consensi.
- la terza mozione, intitolata Per una democrazia socialista in Europa fu presentata dal gruppo di Cossutta. Costruita su un impianto profondamente ortodosso ottenne solo il 3% dei consensi.
Il XX Congresso, tenutosi a Rimini nel febbraio del 1991, fu l'ultimo del PCI. Le mozioni che si contrapposero a questo Congresso furono sempre tre, anche se con schieramenti leggermente diversi:
- la mozione di Occhetto, D'Alema e molti altri dirigenti, Per il Partito Democratico della Sinistra, che ottenne il 67,46% dei voti eleggendo 848 delegati.
- una mozione intermedia, Per un moderno partito antagonista e riformatore, capeggiata da Bassolino, che ottenne il 5,76% dei voti eleggendo 72 delegati.
- la mozione contraria alla nascita del nuovo partito, Rifondazione comunista, nata dall'accorpamento delle mozioni di Ingrao e Cossutta, ottenne il 26,77% dei voti eleggendo 339 delegati, cioè meno rispetto alla somma dei voti delle due mozioni presentate al precedente Congresso.
Il Partito Democratico della Sinistra (PDS) e Rifondazione Comunista (PRC)
Il 3 febbraio 1991, il PCI deliberò il proprio scioglimento, promuovendo contestualmente la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS) con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti. Il cambiamento del nome intendeva sottolineare la differenziazione politica con il partito originario accentuando l'aspetto Democratico. Una novantina di delegati della mozione Rifondazione comunista non aderì alla nuova formazione e diede vita al Movimento per la Rifondazione Comunista, che poi inglobò Democrazia Proletaria e altre formazioni comuniste minori assumendo la denominazione di Partito della Rifondazione Comunista (PRC).
(fonte Wikipedia)
(fonte Wikipedia)
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