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venerdì 7 ottobre 2011

Umberto Bellintani (1914 - 7/10/1999)

Più d’una rete luceva sulle acque,
stillando al sole; di poi si sommergeva.
Ed era un giubilo d’allodole quando
al pescatore sotto riva lento emerse
il giovinetto da quel fondo, il corpo cereo.
Allora il pianto della madre ruppe in gridi,
e quello muto d’altre donne dilagò
ed era greve. Ma nel cielo
ancora il sole risplendeva e la Riparia
era pur sempre gorgheggiata dalle rondini.

Paria

Poveri affaticati nelle membra,
servi delle gleba, paria,
per noi la morte è riposo.
Tu luna invano risplendi in mezzo al cielo;
e non ci cavi dagli occhi che sudore
antica stella che illumini nei boschi
a maggio il canto malinconico dei cùculi.
Non siam che miseri lombrichi nella mota,
siamo concime, la ruota, la carrucola
e non v’è pena che noi non si conosca.

Dalle “Lettere dei condannati a morte”

Le sento al passo. Lo so, verrò sospinto
come una bestia sul camion della morte,
e fileremo in silenzio ad una bassa
terra di supplizio. Contro un muro
di terrore mi porranno, e dei moschetti
m’entreranno per gli occhi nel cervello,
nelle molli budella, dentro il cuore
per cacciarvi un frantumo di mattino
che vi stava impigliato. E piegherò
sui ginocchi ancora prima che mi giunga
dei moschetti spianati quella scarica.

Immaginiamola, amici, una pianura tutta verde
e tutta piena di bianchi scheletri.
E ditemi voi se non è bella una pianura tutta verde
di primavera ben coperta di quegli scheletri
distesi al sole e tanti fiori sparsi intorno.
Immaginiamola, amici, una pianura tutta sola
come s’intende cosparsa di margherite.
E ditemi voi se non è bella una pianura verde
tutta gremita di margherite e bianchi scheletri.
Immaginiamola, amici, la morte bianca distesa al sole
con tanti scheletri in quella piana di fresco verde.

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