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venerdì 7 ottobre 2011

Piero Bigongiari (1914 - 7/10/1997)

La foresta dell’Acquerino

Ebbi un paese pieno di foreste

e botri e feste mattutine, vidi

l’irradiarsi del sole tra le fronde

gelide ancora della notte, udii

parlare il muto come un animale

preistorico. Perché dunque se dico

che io so stare dove non si può

sostare, sembra incredulo il mio detto?

Nulla più dell’imperfezione è

perfetto, nulla più del tragico è

dolce.

Acque cadenti giù di masso

in masso che scherzavano coi venti

furono testimoni che il mutare

era piuttosto stare nell’infrangersi

dello specchio. Il diamante dove appare

e scompare della vita, se lo

estrassi dall’anulare del padre

e lo lasciai cadere e scheggiare

la trasparenza oscura, dove amare

era solo un sospetto, dove mai

io posso ritrovarlo?, oltre il tarlo

della mente, nei suoi oscuri cespiti

dove la luce e il niente che s’incontrano

si toccano a vicenda.

È in frammenti

che il canto inascoltato trova i suoi

più nascosti elementi come persi

sul buio pavimento luccicavano

minuscole le schegge che indicavano

che il cammino non regge se le sue

direzioni non moltiplicano il senso

delle regge della felicità

da abbandonare. È dolore, non polvere

sostare dove l’uomo deve stare.

– Ma tu, o dolcissima, non voltarti,

sei sulla curva estrema del tuo sguardo. –

Segno qui per te un frammento del poema,

pur se in grave ritardo sul suo tema.

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