Testimone del suo tempo, più che un cantante, un musicista, un songwriter o uno storyteller, Woody Guthrie era un reporter che usava la chitarra invecedell'obiettivo fotografico (come Walker Evans) o della macchina da scrivere (come John Steinbeck) o del blocco degli appunti (come James Agee). Tutta la sua vita è stata un'odissea nella scrittura che vista per intero forma una mappatura dell'America rinnegata e ribelle, ma anche di un mondo eternamente relegato ai margini della storia, spesso condannato a perdere la propria identità. Essere la voce di qualcuno, non il portavoce o il portaborse, ma interpretare la voce di chi non ha voce, degli sconfitti e dei diseredati, ecco quello che è stato il divenire un poeta per Woody Guthrie: "Forse vi hanno insegnato a chiamarmi poeta, ma io non sono poeta più di voi. Non sono più di voi un autore di canzoni, né un cantante migliore. La sola storia che ho cercato di scrivere siete voi. Non ho mai scritto una ballata e nemmenouna storia che dicesse tutto quello che c'è da scrivere su di voi. Voi siete il poeta e il vostro parlare di ogni giorno è la nostra poesia migliore scritta dal nostro migliore poeta. Io non sono che una specie di notaio e di meteorologo, e il mio laboratorio è il marciapiedi, la vostra via e il vostro campo, la vostra strada e il vostro palazzo. Non sono niente di più o di meno che un fotografo senza macchina fotografica. Perciò voglio chiamare voi il poeta e voi il cantante, perché voi leggerete queste righe con una voce che ha più musica della mia". Qualcosa in più di un profeta.
Per Woody Guthrie da che parte stare non è stata soltanto una decisione politica (che comunque gli ha guadagnato il suo bel dossier dell'FBI, documentatissimo, per quanto inutile), ma una scelta a tutto campo: esistenziale, geografica, artistica, umanissima e non c'è dubbio che la sua autobiografia, Questa Terra E' La Mia Terra(ovvero la traduzione di Bound For Glory, Marcos Y Marcos, 390 pagine, 16 euro), sia lo strumento più adatto per comprenderla al meglio e senz'altra mediazione. Dentro quella "tempesta di parole", però, ci sono anche gli elementi per andare a scovare le radici di un'America iconoclasta, combattiva, coraggiosa e orgogliosa, che, per quanto povera o marginale, non ha mai svenduto la propria dignità.
Bisogna trovarla nelle parole che Woody Guthrie ha disseminato lungo lemassicciate delle ferrovie, attorno a miseri falò, nelle strade delle ghost town e che sono diventate i primi semi ribelli di un'altra America o, tout court, di un'altra visione della vita e del mondo, (che poi, non a caso, avrebbero avuto un seguito più colorito nei grandi vagabondaggi della Beat Generation): "Non so per quanto dovrò cercarlo, ma so che troverò un posto dove poter cantare quello che voglio. Ho il cervello pieno di idee per chissà quante canzoni, e mi sento come un albero carico di fiori e di colori. Canterò in tutti i posti dove mi staranno a sentire e ci penserà lagente a non farmi morire di fame". Se Woody Guthrie era è resta "un ragazzo in cerca di qualcosa", senza sapere cosa, è ben precisa la sua collocazione, non solo per l'iconografia dell'epopea delle strade ferrate e delle lunghe teorie di freight trains e di boxcars (che sarebbe diventato il titolo di una bellissima canzone di Butch Hancock, poi resa famosa da uno dei più grandi fan di Woody Guthrie, Joe Ely) ovvero i treni merci, condivisa del resto con Tom Kromer con Vagabondi Nella Notte e Bertha Thompson con Boxcar Berta o sul versante del reportage James Agee e Walker Evans (con il sempre indispensabile Sia Lode Ora A Uomini Di Fama). E' proprio per il punto di vista storico che condividevano: pur in forme e con toni differenti, tutti loro raccontavano il mondo dopo la sua prima (vera) grande crisi economica, riflesso delle speculazioni e dei fallimenti. Ecco qual'è stato il viaggioverso la gloria di Woody Guthrie, la gloria di una dignità che nessuno può rubare, e che nessuno ha come mandato divino. Una dignità conquistata, canzone per canzone, un pezzo dopo l'altro, sulla strada, nella polvere, nel sangue delle lotte e degli scioperi, nella clamorosa ingiustizia di Sacco e Vanzetti, nel raccontare l'epopea delle migrazioni, delle frontiere (interne ed esterne) di chi non ha più casa e ha messo la speranza in un angolo perché prima viene la sopravvivenza. La sua era una convinzione fortissima: "Sono ormai tanti anni che viaggio su questi treni e viaggiando ho avuto modo di riflettere, così ho scoperto che in qualcosa ci credo anch'io. Non so cosa sia, ma so che è in me, in voi, e in tutta la gente, per lamiseria!". Anche la sua scomparsa, a differenza dei tragici e oscuri capolinea raggiunti da Robert Johnson e Hank Williams, sembra "normale" (rigorosamente tra virgolette): in un letto d'ospedale, quasi un accettare una condizione banale, in fondo. Come racconta Bob Dylan in No Direction Home: "Riuscii a vedere Woody. Andai a trovarlo ed ebbi l'impressione di essere una delle poche persone, se non l'unica, che lo andava a trovare. Gli feci visita al Morristown Hospital. Fondamentalmente, credo che si trattasse di un manicomio. Forse avevano sbagliato la diagnosi. Non so. Ma Woody era in possesso delle sue facoltà mentali, cioè, a me sembrava evidente. Mi chiese di portargli alcune cose e, non so, ero giovane e impressionabile, credo che per me sia stato una specie di shock vederlo così". L'America raccontata da Woody Guthrie, "between two wars" (direbbe Billy Bragg), sempre tra due guerre (perché appena ne finisce una, ne comincia un'altra) è una proiezione del mondo del ventesimo secolo ed è più facile e qualunquista dire "right or wrong is my country", che "this land is my land". Basterebbe la distinzione tra "country" e "land", ma il polo magnetico di Woody Guthrie non è stato soltanto il racconto di un preciso momento storico, ma la ricostruzione di tutta un'umanità dolente che lo rende attuale oggi, domani e per sempre. Soprattutto, la scelta di narrare quell'umanità, e non un'altra che poi, come dovrebbe essere, si è tradottta in una scelta di stile. Ecco perché, già a partire da Woody Guthrie, bisogna avere ilcoraggio anche di distinguere tra musica e musica, come lui stesso fece: "Io però so quello che cerco, e già molto tempo fa ho giurato che non avrei mai mollato la chitarra e la mia musica. Ma in molte radio non mi lasceranno cantare le canzoni autentiche, loro vorrebbero sentire merda di mucca allo stato puro e nient'altro. Per questo non potrò mai avere tutto quel denaro e quella roba per mantenere una casa e una famiglia, ma è vero, finora non ho fatto che mentire a me stesso quando dicevo che non la volevo, la casetta e tutto il resto". Anche se poi il lato battagliero era il più esposto, l'identikit di Woody Guthrie così come Pete Seeger l'ha descritto a Paul Zollo era più complesso: "Era un tipo ottimista, positivo. Era in cerca del lato positivo delle cose, però nello stesso tempo non voleva ignorare quello negativo. Non era il tipo che vedeva sempre tutto nero. Ma Woody era un realista e non voleva far finta che non esistesse un lato triste. La grandezza dei suoi testi, credo, sta nel fatto che spesso nelle canzoni riusciva a unire queste due cose insieme". Per lui le canzoni non sono state soltanto il mezzo più immediato e anche meno controllabile, uno strumento che sfugge ad ogni censura. Nell'articolare il suo songwriting, attento adaggrapparsi con entrambi alle mani alle radici della cultura popolare, Woody Guthrie ha creato un linguaggio comune e condivisibile, la cui semplicità è quel cardine che lo rende inattaccabile anche un secolo dopo. Se l'attualità di Woody Guthrie non è mai venuta meno non è solo per Bob Dylan e Bruce Springsteen e per la Freedom's Road di John Mellencamp, per l'ammirevole dedizione di Ramblin' Jack Elliott o per l'intelligente rivisitazione di Billy Bragg e Wilco per Mermaid Avenue, entrambi i volumi, il primo più del secondo (ma anche la splendida rivisitazione di James Talley in Woody Guthrie And Songs Of My Oklahoma Home, molto utile per comprendere gli schemi e le connessioni, le tracce e gli agganci della vita di Woody Guthrie e dei territori narrati nelle sue canzoni), ma è perché la disarmante semplicità armonica della sua musica ed insieme la profondità delle suecanzoni sono diventate una "voce". Profondamente americana nelle sue radici, nella forma e nel carattere, ma i cui temi hanno un valore universale. Basta lasciarsi scivolare nell'ultimo (e fantastico) disco di Ry Cooder, My Name Is Buddy per rendersi conto come Woody Guthrie, la sua semplificazione, mai banale, della costruzione delle canzoni, il suo tatto abbiamo permeato la cultura musicale. Ad uno raffinatissimo e colto ricercatore come Ry Cooder, capace (come è noto) di cogliere l'essenza musicale di frammenti dai più disparati angoli del mondo, non poteva sfuggire la dimensione strettamente musicale del songwriting di Woody Guthrie, la sua capacità di essere nello stesso tempo cardine verso la musica popolare e tradizionale e nello stesso tempo una sua ulteriore evoluzione. Anche We Shall Overcome di Bruce Springsteen, andava in quella direzione, ma soprattutto dal punto di vista di un grande performer, capace di trasformare in una festa degna del Mardi Gras anche il repertorio più lugubre ed efferato (come del resto sono moltecanzoni popolari). Ry Cooder è andato invece di cesello, svelando minuscoli dettagli di canzoni la cui struttura scheletrica è, sì, sempre la stessa, ma che proprio su quello giocano la loro magia. A suo modo e a suo tempo già svelata dallo stesso Woody Guthrie: "Non spreco mai il mio tempo prezioso a interrogarmi o a chiedermi sia pure lontanamente se quella musica l’ho già sentita prima, interamente o in parte. Ci sono dieci milioni di modi per modificare un motivo e trasformarlo in qualcosa di mio. Posso cantare una nota alta invece di una bassa, o una nota dell’armonia al posto di una della melodia, o inserire una nota lunga al posto di tante brevi, o metterne tante brevi al posto di una lunga, e distribuire le pause e i fiati un po’ qui un po’ là, insomma con questo sistema sono capace di adattare alla mia ballata l’idea base di qualsiasi motivo. Devo confessare che la cosa che mi diverte di più è trovare un modo nelle mie ballate e nelle mie canzoni di sputare il rospo, di dire francamente quello che mi frulla per la testa. Adoroprotestare sulle cose sulle quali vedo che c’è bisogno di protestare, come le situazioni tristi e spiacevoli che mi trovo davanti, i tumulti, i linciaggi, i bombardamenti, gli incendi, le uccisioni, tutte cose che succedono quando ci si lascia spaventare da ogni ombra, ogni forma, ogni accenno, ogni genere di odio razziale. Non ci avrei tenuto tanto a scrivere un numero così grande di canzoni, comunque, se non fossi stato in grado di dirvi quello che secondo me non va in questo mondo in cui viviamo". Una specie di ultimo testimone e primo giudice della realtà che, tassello dopo tassello, ovvero canzone per canzone, ha archiviato la non facile geografia di una nazione piuttosto che di tutta un'umanità. In questo, Woody Guthrie stato un poeta nel senso più alto del termine: un tramite, un cardine, untraduttore della realtà e del mistero della fantasia in canzoni, parole, scrittura, lingua. Fondamentale e decisivo per la cultura popolare, e qui il suo non è stato tanto uno schieramento laterale, destra o sinistra (anche se sappiamo benissimo da che parte stava), ma piuttosto in verticale, sopra e sotto, sopratutto sotto, nel mondo degli oppressi e dei diseredati, un luogo sempre affollatissimo che però nessuno se la sente di conoscere e ancor meno di raccontare. Non a caso per e con le sue battaglie, Woody Guthrie alla fine ha assunto un'aura persino mitica. Lo scriveva il compianto e mai dimenticato (scomparso proprio dieci anni fa) Claudio Galuzzi nella postfazione della prima edizione di Questa Terra E' La Mia Terra: "E allora questa terra è tua/mia/nostra, quindi un bene da condividere, come nellamigliore tradizione libertaria e comuni(sta)taria americana, quella di lotta e poco incline alla rassegnazione". Meglio ancora John Steinbeck che diceva che in questo libro, come a dire nella stessa vita di Woody Guthrie, "c’è la forza prepotente della gente che si ribella all’oppressione". E se ancora esiste e resiste uno "spirito americano" bisogna cercarlo qui dentro, tra queste pagine e in queste canzoni perché Woody Guthrie è indispensabile, oggi più che mai.
I cerchi concentrici che la vita e la musica di Woody Guthrie emanano a scansioni più o meno regolari negli anni hanno trovato, negli ultimi tempi, alcuni spunti piuttosto interessanti. Il libro di Jim Longhi, Woody, Cisco & Me, che narra il periodo in cui erano imbarcati per la marina mercantile ha riaperto un interessante capitolo della sua storia (anche se Woody Guthrie: A Life di Joe Klein è, come diceva Bruce Springsteen "veramente, veramente un grande libro", e senza dubbio la fonte primaria riguardo la sua biografia). Rispetto alla musica è molto interessante Some Folk cofanetto di quattro dischi (cento canzoni in tutto) pubblicato sul finire dello scorso anno. Non si tratta di niente di radicalmente nuovo, ma una sorta diretrospettiva (con un rapporto tra qualità e prezzo veramente d'occasione)suddivisa in termini cronologici con incisioni comprese tra il 1940 e il 1945. A distanza ravvicinata però la suddivisione, ha anche un profilo vagamente tematico: i vagabondaggi e la (ri)scoperta dell'America in Worried Man Blues, le dust bowl ballads e le working songs in The Great Dust Storm, la parte più lirica ed elegiaca in Grand Coulee Dam (con gli Almanac Singers, Cisco Houston, Pete Seeger e Sonny Terry) e infine un capitolo quasi noir con Stackolee, Billy The Kid, Jesse James e altri fuorilegge americani nel quarto finale chiamato Ramblin' Round. La suddivisione non è così precisa, anche perché non lo è nella realtà, però c'è un filo logico piuttosto evidente che offre a Some Folk un soffio di identità che altreantologie non hanno. Impossibile chiedere che sia esaustiva (anche perché Woody Guthrie avrà scritto un migliaio di canzoni) e si può sorvolare sul fatto che non comprenda This Land Is Your Land, (che comunque la conosciamo a memoria) o altri classici (The Ballad Of Sacco And Vanzetti, magari) però ha una sua logica. In un certo senso sembra costruita seguendo le tracce del suo pensiero, così meglio espresso: "In questo periodo il mio lavoro consiste soprattutto nello scrivere. Scrivo canzoni, ballate, storie in musica e racconti senza melodia, e versi scatenati con battute libere e ritmi ancora più liberi. Questi ritmi da soli sono belli come la vernice del vostro trattore, come l'olio della vostra ruota, ma sono io che ho verniciato il vostro trattore, e ho zappato filari e filari di terra piena di erbacce nei vostri campi di cotone e di granturco. Non ho mai avuto tempo di imparare tutto quello che bisogna sapere sul verso sciolto e sul ritmo.Per Woody Guthrie da che parte stare non è stata soltanto una decisione politica (che comunque gli ha guadagnato il suo bel dossier dell'FBI, documentatissimo, per quanto inutile), ma una scelta a tutto campo: esistenziale, geografica, artistica, umanissima e non c'è dubbio che la sua autobiografia, Questa Terra E' La Mia Terra(ovvero la traduzione di Bound For Glory, Marcos Y Marcos, 390 pagine, 16 euro), sia lo strumento più adatto per comprenderla al meglio e senz'altra mediazione. Dentro quella "tempesta di parole", però, ci sono anche gli elementi per andare a scovare le radici di un'America iconoclasta, combattiva, coraggiosa e orgogliosa, che, per quanto povera o marginale, non ha mai svenduto la propria dignità.
Bisogna trovarla nelle parole che Woody Guthrie ha disseminato lungo lemassicciate delle ferrovie, attorno a miseri falò, nelle strade delle ghost town e che sono diventate i primi semi ribelli di un'altra America o, tout court, di un'altra visione della vita e del mondo, (che poi, non a caso, avrebbero avuto un seguito più colorito nei grandi vagabondaggi della Beat Generation): "Non so per quanto dovrò cercarlo, ma so che troverò un posto dove poter cantare quello che voglio. Ho il cervello pieno di idee per chissà quante canzoni, e mi sento come un albero carico di fiori e di colori. Canterò in tutti i posti dove mi staranno a sentire e ci penserà lagente a non farmi morire di fame". Se Woody Guthrie era è resta "un ragazzo in cerca di qualcosa", senza sapere cosa, è ben precisa la sua collocazione, non solo per l'iconografia dell'epopea delle strade ferrate e delle lunghe teorie di freight trains e di boxcars (che sarebbe diventato il titolo di una bellissima canzone di Butch Hancock, poi resa famosa da uno dei più grandi fan di Woody Guthrie, Joe Ely) ovvero i treni merci, condivisa del resto con Tom Kromer con Vagabondi Nella Notte e Bertha Thompson con Boxcar Berta o sul versante del reportage James Agee e Walker Evans (con il sempre indispensabile Sia Lode Ora A Uomini Di Fama). E' proprio per il punto di vista storico che condividevano: pur in forme e con toni differenti, tutti loro raccontavano il mondo dopo la sua prima (vera) grande crisi economica, riflesso delle speculazioni e dei fallimenti. Ecco qual'è stato il viaggioverso la gloria di Woody Guthrie, la gloria di una dignità che nessuno può rubare, e che nessuno ha come mandato divino. Una dignità conquistata, canzone per canzone, un pezzo dopo l'altro, sulla strada, nella polvere, nel sangue delle lotte e degli scioperi, nella clamorosa ingiustizia di Sacco e Vanzetti, nel raccontare l'epopea delle migrazioni, delle frontiere (interne ed esterne) di chi non ha più casa e ha messo la speranza in un angolo perché prima viene la sopravvivenza. La sua era una convinzione fortissima: "Sono ormai tanti anni che viaggio su questi treni e viaggiando ho avuto modo di riflettere, così ho scoperto che in qualcosa ci credo anch'io. Non so cosa sia, ma so che è in me, in voi, e in tutta la gente, per lamiseria!". Anche la sua scomparsa, a differenza dei tragici e oscuri capolinea raggiunti da Robert Johnson e Hank Williams, sembra "normale" (rigorosamente tra virgolette): in un letto d'ospedale, quasi un accettare una condizione banale, in fondo. Come racconta Bob Dylan in No Direction Home: "Riuscii a vedere Woody. Andai a trovarlo ed ebbi l'impressione di essere una delle poche persone, se non l'unica, che lo andava a trovare. Gli feci visita al Morristown Hospital. Fondamentalmente, credo che si trattasse di un manicomio. Forse avevano sbagliato la diagnosi. Non so. Ma Woody era in possesso delle sue facoltà mentali, cioè, a me sembrava evidente. Mi chiese di portargli alcune cose e, non so, ero giovane e impressionabile, credo che per me sia stato una specie di shock vederlo così". L'America raccontata da Woody Guthrie, "between two wars" (direbbe Billy Bragg), sempre tra due guerre (perché appena ne finisce una, ne comincia un'altra) è una proiezione del mondo del ventesimo secolo ed è più facile e qualunquista dire "right or wrong is my country", che "this land is my land". Basterebbe la distinzione tra "country" e "land", ma il polo magnetico di Woody Guthrie non è stato soltanto il racconto di un preciso momento storico, ma la ricostruzione di tutta un'umanità dolente che lo rende attuale oggi, domani e per sempre. Soprattutto, la scelta di narrare quell'umanità, e non un'altra che poi, come dovrebbe essere, si è tradottta in una scelta di stile. Ecco perché, già a partire da Woody Guthrie, bisogna avere ilcoraggio anche di distinguere tra musica e musica, come lui stesso fece: "Io però so quello che cerco, e già molto tempo fa ho giurato che non avrei mai mollato la chitarra e la mia musica. Ma in molte radio non mi lasceranno cantare le canzoni autentiche, loro vorrebbero sentire merda di mucca allo stato puro e nient'altro. Per questo non potrò mai avere tutto quel denaro e quella roba per mantenere una casa e una famiglia, ma è vero, finora non ho fatto che mentire a me stesso quando dicevo che non la volevo, la casetta e tutto il resto". Anche se poi il lato battagliero era il più esposto, l'identikit di Woody Guthrie così come Pete Seeger l'ha descritto a Paul Zollo era più complesso: "Era un tipo ottimista, positivo. Era in cerca del lato positivo delle cose, però nello stesso tempo non voleva ignorare quello negativo. Non era il tipo che vedeva sempre tutto nero. Ma Woody era un realista e non voleva far finta che non esistesse un lato triste. La grandezza dei suoi testi, credo, sta nel fatto che spesso nelle canzoni riusciva a unire queste due cose insieme". Per lui le canzoni non sono state soltanto il mezzo più immediato e anche meno controllabile, uno strumento che sfugge ad ogni censura. Nell'articolare il suo songwriting, attento adaggrapparsi con entrambi alle mani alle radici della cultura popolare, Woody Guthrie ha creato un linguaggio comune e condivisibile, la cui semplicità è quel cardine che lo rende inattaccabile anche un secolo dopo. Se l'attualità di Woody Guthrie non è mai venuta meno non è solo per Bob Dylan e Bruce Springsteen e per la Freedom's Road di John Mellencamp, per l'ammirevole dedizione di Ramblin' Jack Elliott o per l'intelligente rivisitazione di Billy Bragg e Wilco per Mermaid Avenue, entrambi i volumi, il primo più del secondo (ma anche la splendida rivisitazione di James Talley in Woody Guthrie And Songs Of My Oklahoma Home, molto utile per comprendere gli schemi e le connessioni, le tracce e gli agganci della vita di Woody Guthrie e dei territori narrati nelle sue canzoni), ma è perché la disarmante semplicità armonica della sua musica ed insieme la profondità delle suecanzoni sono diventate una "voce". Profondamente americana nelle sue radici, nella forma e nel carattere, ma i cui temi hanno un valore universale. Basta lasciarsi scivolare nell'ultimo (e fantastico) disco di Ry Cooder, My Name Is Buddy per rendersi conto come Woody Guthrie, la sua semplificazione, mai banale, della costruzione delle canzoni, il suo tatto abbiamo permeato la cultura musicale. Ad uno raffinatissimo e colto ricercatore come Ry Cooder, capace (come è noto) di cogliere l'essenza musicale di frammenti dai più disparati angoli del mondo, non poteva sfuggire la dimensione strettamente musicale del songwriting di Woody Guthrie, la sua capacità di essere nello stesso tempo cardine verso la musica popolare e tradizionale e nello stesso tempo una sua ulteriore evoluzione. Anche We Shall Overcome di Bruce Springsteen, andava in quella direzione, ma soprattutto dal punto di vista di un grande performer, capace di trasformare in una festa degna del Mardi Gras anche il repertorio più lugubre ed efferato (come del resto sono moltecanzoni popolari). Ry Cooder è andato invece di cesello, svelando minuscoli dettagli di canzoni la cui struttura scheletrica è, sì, sempre la stessa, ma che proprio su quello giocano la loro magia. A suo modo e a suo tempo già svelata dallo stesso Woody Guthrie: "Non spreco mai il mio tempo prezioso a interrogarmi o a chiedermi sia pure lontanamente se quella musica l’ho già sentita prima, interamente o in parte. Ci sono dieci milioni di modi per modificare un motivo e trasformarlo in qualcosa di mio. Posso cantare una nota alta invece di una bassa, o una nota dell’armonia al posto di una della melodia, o inserire una nota lunga al posto di tante brevi, o metterne tante brevi al posto di una lunga, e distribuire le pause e i fiati un po’ qui un po’ là, insomma con questo sistema sono capace di adattare alla mia ballata l’idea base di qualsiasi motivo. Devo confessare che la cosa che mi diverte di più è trovare un modo nelle mie ballate e nelle mie canzoni di sputare il rospo, di dire francamente quello che mi frulla per la testa. Adoroprotestare sulle cose sulle quali vedo che c’è bisogno di protestare, come le situazioni tristi e spiacevoli che mi trovo davanti, i tumulti, i linciaggi, i bombardamenti, gli incendi, le uccisioni, tutte cose che succedono quando ci si lascia spaventare da ogni ombra, ogni forma, ogni accenno, ogni genere di odio razziale. Non ci avrei tenuto tanto a scrivere un numero così grande di canzoni, comunque, se non fossi stato in grado di dirvi quello che secondo me non va in questo mondo in cui viviamo". Una specie di ultimo testimone e primo giudice della realtà che, tassello dopo tassello, ovvero canzone per canzone, ha archiviato la non facile geografia di una nazione piuttosto che di tutta un'umanità. In questo, Woody Guthrie stato un poeta nel senso più alto del termine: un tramite, un cardine, untraduttore della realtà e del mistero della fantasia in canzoni, parole, scrittura, lingua. Fondamentale e decisivo per la cultura popolare, e qui il suo non è stato tanto uno schieramento laterale, destra o sinistra (anche se sappiamo benissimo da che parte stava), ma piuttosto in verticale, sopra e sotto, sopratutto sotto, nel mondo degli oppressi e dei diseredati, un luogo sempre affollatissimo che però nessuno se la sente di conoscere e ancor meno di raccontare. Non a caso per e con le sue battaglie, Woody Guthrie alla fine ha assunto un'aura persino mitica. Lo scriveva il compianto e mai dimenticato (scomparso proprio dieci anni fa) Claudio Galuzzi nella postfazione della prima edizione di Questa Terra E' La Mia Terra: "E allora questa terra è tua/mia/nostra, quindi un bene da condividere, come nellamigliore tradizione libertaria e comuni(sta)taria americana, quella di lotta e poco incline alla rassegnazione". Meglio ancora John Steinbeck che diceva che in questo libro, come a dire nella stessa vita di Woody Guthrie, "c’è la forza prepotente della gente che si ribella all’oppressione". E se ancora esiste e resiste uno "spirito americano" bisogna cercarlo qui dentro, tra queste pagine e in queste canzoni perché Woody Guthrie è indispensabile, oggi più che mai.
Non sono mai stato molto brillante a leggere le note musicali, e neppure a scriverle. Non ho mai imparato le leggi superiori della matematica, e neppure il parlare ricercato. Però vi ho sempre osservato attentamente, e ho tenuto le orecchie ben aperte quando mi passavate vicino". Una confessione più chiara di così: "questo periodo" in realtà è stata tutta la sua vita, che Some Folk, titolo quanto mai appropriato, ripercorre rispettando, anche nel prezzo che bisogna pagare, la coerenza della storia di Woody Guthrie.
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