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mercoledì 29 febbraio 2012

Il poeta del giorno: TRILUSSA


Trilussa, poeta romano Carlo Alberto Salustri, il quale creò questo pseudonimo anagrammando il proprio cognome, nacque a Roma nel 1871 ed apparteneva alla piccola borghesia. 
Autore di un gran numero di poesie in dialetto romanesco, alcune delle quali in forma di sonetti, Trilussa non aveva brillato negli studi e non era certo un intellettuale, fonte della sua ispirazione erano la gente, le strade di Roma e le sue poesie sono dunque popolate da tipici personaggi di un mondo piccolo-borghese (la casalinga, il commesso di negozio, la servetta, ecc.). 
I romani già conoscevano ed apprezzavano i versi della raccolta "Quaranta sonetti" quando venne pubblicata nel 1895, perchè quei versi erano già stati pubblicati da un giornale locale  
Seguirono  "Le stelle di Roma" (1889), "Favole romanesche" (1900), "Caffè-concerto" (1901), "Er serrajo" (1903), "Uomini e bestie" (Ommini e bestie, 1908), "Le storie (1913)", "Lupi e agnelli" (1919), "Le cose" (1922), "La gente" (1927). 
Oltre a comporre versi, il poeta illustrava anche alcuni dei suoi sonetti e poesie con disegni rivelando un altro lato del suo temperamento artistico.Tuttavia non frequentò mai i circoli letterari, ai quali continuava a preferire le osterie. 
Efficace 'dicitore' dei suoi versi, Trilussa fece lunghissime tournées in Italia e all'estero e la sua fama crebbe, tra il 1920 e il 1930 raggiungendo il massimo della notorietà. 

Negli anni successivi, però, la struttura sociale della città doveva cambiare profondamente; l'ispirazione che il poeta traeva così intimamente dalle vecchie atmosfere romane era destinata pian piano ad abbandonarlo. I suoi anni migliori giungevano così al termine.  
Trilussa collaborò anche a piccoli giornali e riviste locali, come «Rugantino» , «Il don Chisciotte di Roma», «Il Travaso delle idee», L'Almanacco «Er Mago de Vorgo", con arguzia scettica e disincantata, Trilussa commentò  mezzo secolo di cronaca romana e italiana, dall'età giolittiana, agli anni del fascismo e a quelli del dopoguerra. 
La lingua usata da Trilussa è differente da quella originale dei "Sonetti" del Belli, molto più limata nei suoi tratti dialettali e assai più vicina all'italiano, come d'altronde veniva parlata in quegli anni, quale risultato di un innalzamento del livello culturale medio della popolazione.  
Per questo motivo ricevette anche critiche da alcuni poeti dialettali più "puristi" e le poesie di Trilussa risultano meno pungenti, meno caustiche di quelle di Belli, ma lo spirito umoristico che le sostiene è esattamente lo stesso.  
In molte opere di Trilussa, come nelle Favole di Esopo, i protagonisti sono animali:  leoni, scimmie, gatti, cani, maiali, topi che danno vita a divertenti situazioni, mettendo in ridicolo i molti vizi e difetti dell'uomo.
Fra i meriti artistici, di Trilussa viene anche ricordata la sua collaborazione col famoso fantasista Ettore Petrolini, per il quale scrisse alcuni testi brillanti.
Trilussa morì a Roma nel 1950, solo pochi giorni prima lo Stato gli aveva conferito il titolo di Senatore a vita per alti meriti in campo letterario e artistico. 
La sua intera produzione poetica è raccolta in "Tutte le poesie" , uscita postuma nel 1951 a cura di P. Pancrazi e con disegni di Trilussa.

Er pappagallo scappato
Lei me chiamò e me fece: - Sarvatore,
er pappagallo jeri scappò via
perché nu' richiudeste er coridore;
eccheve er mese, e fôr de casa mia.-
 
Te para carità, te pare core,
pe' 'na bestiaccia fa' 'sta bojeria,
mette in mezz'a 'na strada du servitore
che deve portà er pane e la famîa?...
 
Ma io so tutto: er fatto der tenente,
le visite a Firenze ar maresciallo,
la balia a Nemi... e nun ho detto gnente.
 
Percui stia attenta a lei, preghi er su' Dio,
ché se me manna via p'er pappagallo
vedrà che pappagallo che so' io!

Er ministro novo
 
Guardelo quant'è bello! Dar saluto
pare che sia una vittima e che dica:
- Io veramente nun ciambivo mica;
è stato proprio el Re che l'ha voluto! -
 
Che faccia tosta, Dio lo benedica!
Mó dà la corpa ar Re, ma s'è saputo
quanto ha intrigato, quanto ha combattuto...
Je n'è costata poca de fatica!
 
Mó va gonfio, impettito, a panza avanti:
nun pare più, dar modo che cammina,
ch'ha dovuto inchinasse a tanti e tanti...
 
Inchini e inchini: ha fatto sempre un'arte!
Che novità sarà pe' quela schina1
de sentisse piegà dall'antra parte!

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