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domenica 7 agosto 2011

8 agosto 1990: delitto di via Poma


MASSACRATA A PUGNALATE

ROMA Un nuovo delitto e l' estate di Roma si tinge di sangue e di orrore. Vittima, stavolta, è stata una bella ragazza di vent' anni. E anche in questo caso la polizia si trova alle prese con un mistero in cui sesso e sadismo si mescolano in un cocktail macabro. Simonetta Cesaroni, impiegata, è stata uccisa nell' ufficio dove lavorava, nei pressi della centralissima piazza Mazzini, a un passo dal Palazzo di Giustizia. Il suo corpo è stato trovato completamente nudo, crivellato con ventinove colpi di stiletto, uno dei quali le ha spaccato il cuore. Altre ferite le erano state inferte al pube, con incredibile violenza. L' assassino, tuttavia, non è riuscito a violentarla, ma è fuggito portando con sé il feticcio dei suoi indumenti intimi. Giusto ieri era stata trovata la soluzione di un altro assassinio a sfondo sessuale, quello di Giancarlo Abbate, gay trasteverino. Il giorno precedente era stato risolto il giallo di via Flaminia Vecchia, dove una colf capoverdiana di 24 anni, Ester Maria Lima Benholiel, mamma di un bambino, era stata seviziata con uno scalpello, strangolata e ficcata in un frigorifero abbandonato. Due fatti di sangue particolarmente torbidi, che hanno scosso la città. Un tragico presentimento Ma quello che è successo l' altra sera in Prati, vecchio quartiere signorile della capitale, per pena e crudeltà sembra superarli. Alla scoperta del delitto si è arrivati sull' onda di un presentimento che, martedì sera, aveva allarmato una famiglia modesta e perbene di Cinecittà, quella composta dal conducente di metropolitana Claudio Cesaroni, da sua moglie Maria e dalle figlie Paola, 27 anni, e Simonetta, 20 anni compiuti da pochi mesi. Era strano: proprio Simonetta, in genere così puntuale e così attenta ad avvisare la famiglia, per tutto il pomeriggio non si era fatta viva. Erano ormai passate le 22,30 e lei, che avrebbe dovuto smettere di lavorare alle 19,30, non era tornata. Ed era stato inutile anche telefonare nell' ufficio di via Carlo Poma 2, sede del comitato laziale dell' Associazione Italiana degli Alberghi della Gioventù, dove la ragazza dall' inizio di luglio faceva la contabile per due giorni a settimana: come risposta arrivava unicamente un inquietante segnale di linea libera. L' ultima persona che l' aveva sentita, una amica, le aveva parlato alle 17,30. Cosa era successo a Simonetta? La risposta, terribile, è arrivata al termine di una corsa attraverso la città, che ha portato in Prati la sorella Paola assieme al proprio fidanzato, al titolare della Reli, Carlo Volponi, e al figlio di quest' ultimo. Il gruppo è giunto davanti alla cancellata bianca del cortile di via Poma 2 verso le 23,20. Guardando alle finestre del quinto piano, dove Simonetta era andata a lavorare, non si vedeva alcuna luce. Allora è stato chiamato il portiere, gli si è chiesto di andare su, di aprire con le chiavi in suo possesso la porta degli uffici. Nel buio si udiva il soffio del condizionatore rimasto acceso e dal vano della porta dell' ultima camera in fondo, sulla sinistra, arrivava il riverbero azzurrino del videocomputer in funzione. Era qui che Simonetta, tutti i martedì e i giovedì alle 15,30, sedeva per sistemare la contabilità. La sedia era vuota eppure sulla scrivania c' erano la borsetta e l' ombrello rosa. Pochi passi ancora, in un' altra stanza, e poi l' urlo: il corpo della ragazza era lì, a terra, nudo, pieno di ecchimosi, braccia e gambe divaricate, gli occhi sbarrati verso il cielo, il reggiseno arrotolato sotto il collo. Era stata uccisa con infinite stilettate. L' assassino si era accanito in particolare sopra il pube. Quando il dirigente della squadra mobile, Nicola Cavaliere, assieme al commissario Antonio Del Greco sono arrivati sul luogo dell' omicidio, si sono subito trovati a fare i conti con diversi fatti assolutamente poco logici. La cosa più strana era che, escluso il reggiseno e un paio di calzini, del resto degli indumenti della ragazza non ci stava traccia. La porta chiusa Il carnefice s' era portato via le mutandine, un paio di pantaloni blu elasticizzati e una maglietta a righe bianche. Altra cosa inconsueta: l' ufficio era in ordine, senza segni di inseguimenti o di colluttazione; in un angolo, nella stanza del massacro, le scarpe da ginnastica di Simonetta, una appaiata all' altra, senza macchie di sangue, slacciate con cura. Infine la probabile arma del delitto, un tagliacarte, lavata e infilata in un portapenne. Ma non si trattava dell' ultima stranezza: la porta dell' appartamento era stata trovata chiusa con tre mandate, utilizzando le chiavi dell' impiegata, scomparse assieme all' assassino. No, non dovrebbe trattarsi di un omicidio avvenuto sull' onda di un incontro occasionale. Troppa attenzione, troppa calma dopo i terribili secondi del raptus, come se l' individuo senza volto sapesse bene che poteva agire indisturbato. E forse sapeva anche altre cose, una su tutte: che Simonetta quel giorno là dentro si sarebbe trovata sola, nell' ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze estive. In questura, così, è cominciato l' andirivieni di tutti coloro che potevano dire: Io la conoscevo. E da loro si è saputo che Simonetta negli ultimi tempi era bersagliata da telefonate misteriose: Sei bella, sei bellissima, ti voglio. E di un uomo che le ronzava attorno forse aveva scritto anche in un quaderno. Tre pagine, però, sarebbero state strappate. In esse c' era la chiave del delitto di via Poma. - di EMILIO RADICE

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