«La differenza fra una democrazia e una
dittatura
è che in una democrazia prima voti e poi
prendi ordini;
in una dittatura non devi perdere tempo a
votare.»
(Charles Bukowski)
VENTICINQUESIMO
REDAZIONALE
Eccoci giunti, non senza
problemi, al n. 2 di SENTINEL. Prima di tutto, vorremmo ringraziare coloro che hanno
acquistato il n. 1: non pensavamo di
avere tanto successo. Siamo quindi costretti a raddoppiare la tiratura (e i nostri
sforzi economici di conseguenza, ma
non ce ne frega niente!), i posti dove trovarla e la redazione: salutiamo
quindi l’ingresso di Alessandro
“Doctor Zantaff”. Aumentano anche i collaboratori esteri ed italiani.
Continuate ad aiutarci, metal maniax, non ve ne pentirete! Alla prossima!
“FATE DELLA MORTE LA
VOSTRA CERTEZZA!”
LA REDAZIONE:
Roberto “Aragorn” Draghi
Fausto “The black” Colasanti
Marco “Joe Breaker” Neri
Alessandro “Dr. Zantaff” Rambotti
Mauro “Dr. Evil” Carnassale
COLLABORATORI
Moreno
Alessandro Ventriglia
Giulio Biocca
Antonio “Lord Mysterious” Rossi
Bruno “Schwartz Kraft” Frittelli
Luca “Heimdall” Neri
Roberto “Robur” Fantato
Silvano “Ozzy” Sancese
Paul Chain
Frank Meinel (Shock Power)
Ralph Graupner (Warhead)
FrOde Øien (Breaker)
Mark Conrad & John Gross (Guillotine)
Stephen Rackett (Forearm Smash)
André Methorst
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SPECIAL THANX
Mirko (Axe Hero); Roby (Black Hole); Arturo
(Devil’s Claws); Fabio (Halloween) Roberto (Live);Maurizio (Monolith); Gianni
(Powerage); Corrado (Skanners); Fabio (Swords); Daniel (Thunder); Sergio (Tir);
Elio (Sabotage); Rita (Ransackers); Antonio (Fireball); M.Teresa De Felice;
Metal Fortress fanzine; Ferdinando (Thorr);Alberto (Welcome to hell); Paul
Chain; Giulio Biocca; Tyrant Town in blocco; Ebony rec.; Wenda Francken
(Roadrunner rec.); Earthshaker rec.; Guillotine; Enrico Ballo (Hocculta); Bob
Nalbandian (Headbangers); Frank Meinel (Shock Power); John Kluge (Artillery);
G.Jarvis (Desolation Angels); G.Janssen (Lionspride); Felix Lethmate; Heinz
Kreuse (Iron Horse); Frank Stover (Destruction); John Marriott (Omega); Stephen
Rackett (Forearm Smash); Mill rec. (Crystal Pride); André Methorst; Elemental
Forces (Cloven Hoof fans club); ALL THE SHOPS THAT SELL OUR MAGAZINE; ALL THE
METAL MANIAX IN THE WORLD...KEEP ON THE
FAITH!!!
TYRANT TOWN
Ci occupiamo questa volta dei
perugini TYRANT TOWN, attualmente unico gruppo heavy metal del capoluogo umbro,
e più grande speranza della regione per quel che riguarda il rock duro, insieme
ai nuovi SYNTHESIS, naturalmente. Intervistiamo i due fratelli Andrea e
Roberto, rispettivamente bassista e batterista, fondatori spirituali della
band.
SENTINEL) Cominciamo naturalmente
con la storia del gruppo.
TYRANT TOWN) Tyrant Town nasce un
anno fa per opera di Andrea; poi si sono aggiunti tutti gli altri. Vorremmo
precisare che se non fosse per gli Interceptor, e Aurelio in particolare
(attualmente con i Synthesis insieme a Giulio Biocca) che ci ha prestato la
loro sala prove, probabilmente staremmo ancora cercando il locale per suonare.
Ci hanno consigliato e aiutato agli inizi, e anche adesso. Da allora abbiamo
fatto 4 concerti, 3 a Perugia e uno in provincia di Siena. Poi ci fu la
dipartita del chitarrista ritmico (inizialmente erano in 5) Piero Recanati, che
non era più nello spirito della band. Poi siamo giunti, in questi ultimi tempi,
alla registrazione del demo-tape, che ci soddisfa
abbastanza. Dobbiamo ricordare
soprattutto che siamo stati sostenuti finanziariamente dall’”eminenza grigia”
Roberto Sereni, manager, produttore e finanziatore.
SENTINEL) Come è nato il nome
della band?
T.T.) Vuol dire “Città del
Tiranno” o “Città Tiranna”. È riferito a Perugia, perché è di merda. Ci rompono
le palle in famiglia, a scuola, per la strada perché abbiamo i capelli lunghi,
perché andiamo controcorrente in questa città prettamente discotecara e
new-wave. È un modo di fare, appunto, tiranno nei confronti di chi non ti ha
fatto un cazzo e che vuole vivere come gli pare. Anche per questo io sono
contro quei metallari che cercano di imporre con la violenza il nostro tipo di
musica: con la violenza non imponi un cazzo, anzi, ribadisci il concetto
sbagliato che la gente si fa di noi.
SENTINEL) Il futuro? Speranze,
progetti…
T.T.) Per ora attraversiamo un
momento di stasi, poiché il chitarrista solista è partito per il militare.
Cercheremo un chitarrista che lo sostituisca per questo periodo.
SENTINEL) Si era parlato di
Aurelio…
T.T.) Si, Aurelio ci aiuta molto.
È un gran ragazzo: ci ha dato la sala prove, e adesso addirittura suona con noi
alle prove per non farci stare fermi finché non troviamo un chitarrista
stabile. Di gente che suona ce n’è parecchia, ma manca lo spirito, la Fede. Se
ne trovassimo uno con la testa e le idee giuste potrebbe entrare ufficialmente nel
gruppo, così che al ritorno di Minniti potremmo continuare con 2 chitarristi.
SENTINEL) Che ne pensate
dell’attuale panorama italiano heavy metal?
T.T.) Stimiamo moltissimo Paul
Chain & the Violet Theatre (ma no! N.d.r.) sopra a tutti, poi Strana Officina
e i Rollerball che secondo noi hanno molte buone idee e se avessero i mezzi per
un’adeguata produzione potrebbero fare qualcosa di veramente notevole. Non
escludiamo naturalmente i Synthesis. Non li abbiamo nominati subito, visto che
attualmente sono in un periodo di “transizione”. I nuovi pezzi non li ho
sentiti, ma nascendo dalla fusione di Interceptor e di vecchi Synthesis,
qualunque cosa stiano producendo sarà senz’altro buona. Sono il simbolo del
metallo umbro, l’unione Terni-Perugia in nome del rock duro.
SENTINEL) Quali sono le vostre
principali ispirazioni?
T.T.) Minno soprattutto compone i
pezzi. Lui ama i vecchi gruppi, ma adegua le sue composizioni all’attuale sound
HM.
SENTINEL) E i vostri gruppi
preferiti?
T.T.) Judas Priest, naturalmente,
poi AC/DC, Raven, Accept, Ozzy. Delle ultime uscite ci hanno colpito
soprattutto i Queensrÿche. Ah, non dimentichiamo R.J.Dio. comunque,
attualmente, nel mercato hm c’è una moltitudine di gente a cui fumano le palle
e non si può fare solo uno o due nomi. A casa avrò un centinaio di dischi ma a
parte 2 o 3 eccezioni, non ce n’è nessuno che ascolto più di un altro.
SENTINEL) Voi due siete
rispettivamente bassista e batterista: chi sono i vostri modelli preferiti?
ROBERTO (batterista) Mi piaceva
moltissimo Clive Burr dei Maiden. Per me è stata una gran perdita.
ANDREA (bassista) Geezer Butler
su tutti, poi Steve Harris.
SENTINEL)Il vostro genere di hm si può definire dark?
T.T.) Voi come lo classifichereste?
T.T.) Voi come lo classifichereste?
SENTINEL) È strano infatti. C’è
del dark, dello speed-metal…
T.T.) Cerchiamo infatti di
spaziare all’interno dell’hm, finché non troveremo un’identità più precisa.
“This song will be your funeral march” è un pezzo prettamente dark, ma
cerchiamo di non fossilizzarci su un genere in particolare. Infatti anche sul
demo “Calvario” abbiamo cercato di proporre delle songs abbastanza diversificate
tra loro. Quella di cui parlavamo prima è dark, “Thunder gods” è classic-metal,
mentre “Fils du rock” è decisamente “speed”. Non vogliamo una definizione
particolare all’interno dell’hm.
SENTINEL) Come mai sul palco
usate un look quasi glam?
T.T.) È una questione di
spettacolo, di scenografia. Oltre al nostro travestimento usiamo anche elementi
dark sul palco, come candelabri ecc. Uno spettacolo che cerca di toccare tutti
gli aspetti dell’hm.
SENTINEL) Come vedete la scena
musicale perugina?
T.T.) Merda! In una famosa
discoteca (Suburbia) ci hanno impedito di fare un concerto perché suoniamo
heavy metal.
SENTINEL) Una domanda a Roberto “big
manager” Sereni: cosa ne pensi tu dei Tyrant Town? Cosa ti ha spinto a produrre
questo gruppo?
R.SERENI) La passione per l’heavy
metal, e soprattutto l’amicizia e la fiducia nelle loro capacità che mi lega a
questi esseri disumani.
SENTINEL) E voi Tyrant Town, cosa
vi ha spinto ad intraprendere questa strada?
T.T.) Suoniamo non certo perché è
una moda fare il metallaro o perché vogliamo fare i soldi. Lo facciamo perché è
il nostro scopo, il nostro ideale di vita. Io personalmente (Roberto n.d.r.)
faccio l’istituto tecnico per geometri, ma non me ne frega una sega di
diventare geometra. Noi abbiamo piena convinzione in ciò che facciamo. Tyrant
Town è convinzione e decisione.
SENTINEL) Per concludere, un
messaggio al pubblico.
T.T.) Heavy metal è fare casino,
divertirsi ma nei limiti della civiltà. Non avrebbe senso andare in giro a
spaccare i denti ai freaks o ai fighettini (per quanto…). Produrremmo l’effetto
contrario. Continuiamo a resistere senza rompere le palle e senza permettere
che qualcuno ce le rompa.
“CALVARIO”
La prima sensazione che abbiamo
provato nell’ascolto di questo demo è stata di piacevole stupore. Sinceramente
non ci aspettavamo tanta “classe” da una band così giovane. I tre pezzi,
“Thunder gods”, “Fils du rock” (cantato in francese!) e “This song will be your
funeral march” sono veramente ad alti livelli, grazie anche all’ottima
registrazione. Noi personalmente preferiamo su tutti “This song…”, un vero
gioiellino dark, ma gli altri due non sono da meno. Spicca in tutto il
contesto, l’ottima voce del singer Francis, vera rivelazione delle giovani
“ugole metalliche” italiane.
GUNFIRE
I GUNFIRE sono di Ancona, e si
sono formati nel gennaio 1984. LORD BLACKCAT, stufo di suonare in una band di
false-metal lascia il gruppo e si mette alla ricerca di elementi per formare
una sanguinosa heavy metal band. Viene a conoscenza che nella zona esisteva un
gruppo heavy. Durante un concerto di questa band, conosce il bassista MAURY
LYON, e insieme decisero di unire le loro esperienze per formare una band. Le
basi del progetto GUNFIRE, erano quindi gettate. Maury Lyon si portò dietro il
vocalist SIR ROBERT DRAKE, mentre il batterista, non fu facile trovarlo. Dopo
molti provini, si presentò ROB GOTHAR, che fu immediatamente ingaggiato. A quel
punto la line-up era completa. I quattro si chiusero subito in sala prove, e
dopo 4 mesi di prove ininterrotte, entrarono in studio, per registrare il loro
primo demo. A giugno la loro prima esperienza dal vivo, ha qualcosa di
“battesimo del fuoco”: infatti vengono invitati al Festival nazionale di heavy
metal di Gazoldo degli Ippoliti, dove riscuotono un notevolissimo successo, e
dove vengono giudicati tra i migliori insieme ai decani dell’heavy nazionale
STRANA OFFICINA. Sono prodotti da Paul Chain, e ciò non può essere che una
garanzia.
BULLDÖZER
BULLDÖZER è un essere diabolico,
che nasce a Milano nel gennaio 1984, in occasione dell’uscita del 45 “Fallen
angel”. Trio infernale, una macchina diabolica che non arresta davanti a
niente. Gli attuali componenti sono: AC WILD, cacciato dal paradiso e mandato
negli inferi il 25/11/1981 (chissà mai perché proprio quel giorno, mah!). Da
allora il suo furore lo spinge ad essere spietato nei confronti dell’ipocrisia
cristiana, ma ciò che egli respinge maggiormente è la mediocrità di questo
mondo. Suona il basso e grida furiosamente. Considera Satana un suo compagno di
sventura. ANDY: è il classico maniaco. Rifiuta ogni tipo di mediocrità e
banalità. Suona la possessed guitar e compone i brani del gruppo (i testi sono
di Ac Wild). ANDRAS: violento sfasciamacchine pieno di rabbia e aggressività,
implacabile sui tamburi. È velocissimo, ama i motori e la velocità. Il gruppo,
naturalmente, ricalca, o quasi, le orme lasciate un po’ dappertutto dai tre
killers di Tyne & Wear (Venom, naturalmente!) sia come impatto sonoro che
come immagine dissacratoria.
SEE YOU IN HELL!!
LIVE!
SCORPIONS IRON MAIDEN
JOAN JETT
& THE BLACKHEARTS MÖTLEY CRÜE
Firenze, 7/11/1984
Dice un noto proverbio: “Il
troppo storpia”. Tale detto, però, non significa assolutamente nulla nel campo
dell’heavy metal, soprattutto per coloro che cercano di tenere in piedi una
fanzine. Valanghe su valanghe di dischi nuovi quasi ogni giorno, tenere sempre
i contatti con il maggior numero possibile di persone, e cercare, nei limiti
del possibile (economicamente parlando), di riuscire a vedere la maggior parte
dei concerti che, per ogni heavy metal kid che si rispetti, è il culmine di
tutta una serie di interessi sia personali che collettivi. Capita appunto che
tali concerti (si parla sempre di gruppi ormai famosi nel mondo), almeno qui in
Italia, si svolgono raramente. Quindi, il fatto che nel giro di 4 giorni si
riesca a vedere due gruppi ultranoti come SCORPIONS e IRON MAIDEN, un gruppo
emergente quale è MÖTLEY CRÜE, e un gruppo divertente anche se non proprio
heavy come quello di JOAN JETT, non può che riempirci di entusiasmo e di
emozione. Il 7 novembre, in quel di Firenze, e precisamente al Teatro Tenda sul
Lungarno, si sono esibiti i teutonici SCORPIONS (da notare che il loro album
“Blackout” è arrivato nella top 10 americana) e. come special guest, JOAN JETT
& THE BLACKHEARTS.
AAAREEE YOUUUU REAAADYYY TO
ROOOOOCK’N’ROOOOLLLL? LADIES
AND GENTLEMEN……….. JOOOOOAAAN JEEEEEEETT AND THE BLACKHEEEEEEEARTS!!!
Joan Jett proviene da quel nucleo
di ragazze che, qualche tempo fa, erano note col nome di Runaways (dal quale è
uscita anche Lita Ford). L’attuale sound di Joan e il suo gruppo non si
discosta molto da quello della sua precedente band: un rock’n’roll datato se vogliamo,
ma sempre simpatico e pieno di allegria e spensieratezza, un po’ come erano i
Ramones 4 o 5 anni fa.
Sono ormai le 10.15 e il teatro è
pieno per ¾. Tra tanti kids riusciamo a scorgere facce conosciute, soprattutto
componenti dell’Italian Metal Invasion. Finalmente si spengono le luci: “Hallo Florence! Are you
ready to rock and roll? Joan Jett and the Blackhearts”, e si comincia
con una convincente versione di “Bad reputation” dal primo album. La piccola
morettina imbraccia una chitarrona quasi più grande di lei. Ai suoi lati un
bassista che sembra provenire dagli Stray Cats e un chitarrista tipico degli
anni d’oro del r’n’r, sia nel look che nella tecnica. Dietro a tutti, un
batterista preciso e mai “mostro”. Nelle prime file si salta a tempo con la
musica, e tutto lascia presagire che questa anteprima degli Scorpions fili via
liscia. Non è così purtroppo. Un pubblico, per lo meno quello “hot” delle prime
file, venuto esclusivamente per ammirare gli Scorpions che, lasciatecelo dire,
si è comportato da stronzo, ha cominciato a boicottare la band. Partono i primi
sputi, le prime monetine, ma nonostante ciò la piccola Joan, in completo
aderentissimo color rosa shocking!, continua ad incitarlo. “Fake friends”, “New
Orleans”, “Runaway”, l’hit di qualche anno fa “I love rock’n’roll”, il
rifacimento della notissima “Crimson & clover” più qualche pezzo dal
nuovissimo “Glorious results of a misspent youth”, si susseguono tra sputi e
grida del tipo “Nuda! Nuda!”. Alla fine i ragazzi si sono incazzati davvero, e ne
avevano tutti i diritti: Joan lancia maligne occhiate a tutti e comincia a
“schitarrare” in faccia ai kids più facinorosi delle prime file. Possiamo
essere d’accordo con coloro che dicono che il suo rock’n’roll è datato, che la
sua band non aveva la sua stessa grinta (vera o prefabbricata che sia), ma è
diritto di tutti suonare; dopotutto il rock’n’roll classico non è l’antesignano
dell’hard rock prima e dell’heavy metal dopo? Quindi cari quindicenni dalle
facce truci, non sputate sul passato se volete che il presente e il futuro
siamo sempre più duri, violenti e caldi, Joan and company non avevano altra
pretesa di divertire e di far “zompare”, non certo di spacciarsi per una hm
band, e ci sarebbero riusciti se il loro spirito fosse stato compreso. Il concerto
di Joan Jett dura trequarti d’ora (per molti sono stati anche troppi, non per
noi), dopo di che la solita mezzoretta di stasi per prepararsi, fisicamente e
psicologicamente, all’assalto sonoro dei 5 panzers tedeschi.
HERE WE ARE: ROCK US LIKE A HURRICANE!!!
Le luci si spengono, e una musica
che ricorda quasi la disco-music annuncia l’avvicinarsi di un’astronave aliena;
le luci stroboscopiche rendono magistralmente l’effetto dell’atterraggio; un
portello si alza. Escono i cinque ed è subito “Coming home”: sinceramente un inizio
come mai abbiamo visto, e forse mai vedremo. Eccoli là: da sinistra a destra
Francis Buchholz e il suo basso, Rudolf Schenker e la sua Flying-V bianco-nera,
il folletto Klaus Meine (Madonna, come rassomiglia a Ronnie Dio!) e l’altro
axeman Mathias Jabs. Dietro, tra uno scenario fantascientifico, l’incredibile
batteria di Hermann Rarebell. Potremmo accomunare la carriera degli Scorps a
quella, guarda caso, a quella dei Judas Priest: 5 albums per la consueta
gavetta, la consacrazione con il live (per gli Scorpions l’ottimo doppio “Tokyo
tapes”), quindi il successo con 4 albums sempre tra i primi posti delle charts
americane ed inglesi. E lo spettacolo ricorda quello dei Judas, anche se
Scorpions non ama vestirsi di borchie, ma adotta un look basato solamente sulla
pelle nera. Dopo l’opener “Coming home”, arriva “Blackout”, bella come sul
disco. Quindi una quaterna
difficile da dimenticare: “Bad boys running wild”, “Loving you Sunday morning”,
“Make it real” e “Big city nights”. La maggior parte dei kids già suda
abbondantemente, ma il bello deve ancora venire: Firenze risponde alle attese,
il folletto Klaus sa incitarla a dovere e ne è compiaciuto. Arriva lo
strumentale, bellissimo “Coast to coast” dove anche Klaus imbraccia una chitarra
e fa la ritmica agli assoli incrociati di Rudolf e Mathias. Se si può fare una
critica al gruppo, rispetto al live e agli albums precedenti, è quella di aver
tralasciato i lunghi assoli di Ulrich Roth per pezzi più immediati, molto più
belli ed orecchiabili. Le luci si spengono di nuovo e dopo qualche istante
riappare Meine, ancheggiando come una diva, e invita tutti ad accendere i
nostri accendini perché è il momento di “Holiday”, la più bella heavy metal
ballad che la storia conosca. Emozione, estasi, brividi, anche un po’ di
commozione (qualche kids debole d’anima ha pianto!) accompagnano l’esecuzione
del pezzo. Ed è soprattutto quando il pubblico canta all’unisono la seconda
strofa che anche Klaus è meravigliato e anche un po’ commosso: “Let me take you
far away/ you’d like a holiday!”. Prima dell’attacco delle chitarre distorte,
il pezzo viene troncato. Anzi, più che troncato, diventa “Still loving you” che
dimostra, se c’era ancora bisogno di saperlo, che le ballate come le sanno fare
gli Scorpions, non le sa fare nessuno. Giunge quindi il momento di dialogare
col pubblico: “Appena io vi farò cenno, voi urlate «one, two-one, two, three,
four!!!» ok?” e giù ad urlare a tempo l’inizio di “Can’t live without you”. “Stand up and shout, we’re ready to
rock, we’re ready to roll. Stand up and shout. Are you ready? Are you ready? Come
on and get it!” La canzone finisce con un ottimo assolo di batteria di quel
mostro che risponde al nome di Hermann Rarebell, batterista che mai nessuno di
noi e di voi si è mai sognato di votare nelle consuete classifiche di fine anno
(ma quest’anno in molti si ricrederanno a cominciare da colui che ha fatto
questa recensione). “Another piece of meat” è la classica canzone tirata che
serve ad infiammare il pubblico per il gran finale. E quale finale migliore
poteva essere se non “Dynamite”? La doppia cassa ci fa sobbalzare, provocando
un eccezionale terremoto sonoro. “Florence… you’re dynamite!” – “Scorpions…
you’re dynamite!”. Il gruppo esce e subito il pubblico si scatena nel richiamarli
all’ormai famosissimo grido di “alé o-o!” Rientrano tutti ed eseguono “The
zoo”, un heavy blues sul quale il gruppo saluta per la seconda volta il
pubblico fiorentino e non. Ma non è finita. Vengono richiamati a gran voce, e
loro puntualmente rientrano. Rudolf, un vero equilibrista della sei corde,
tutto grinta e salti nel vuoto, si presenta con un cappello nero a larghe tese
in stile anni ’40. “No one like you” sembra proprio l’ultima canzone per
stasera, molti sono “a stracci”, contenti e felici, ma c’è ancora qualcuno che
ha la forza di richiamarli per la terza volta. Un’impressionante versione di
“Can’t get enough”, un pezzo non certo tra i più conosciuti della band, ma
senza dubbio tra i migliori e più tirati, ci lascia completamente svuotati di
energie e anche i 5 sul palco non si risparmiano, nonostante stiano saltando da
una parte all’altra del palcoscenico da oltre un'ora e mezza. Klaus sale sulle
travi che facevano parte della scenografia, tipo quelle su cui tutti noi siamo
saliti nelle ore di ginnastica a scuola. Il suo esempio è seguito dagli altri
tre (solo Hermann rimane dietro la sua mastodontica batteria). Klaus ritorna
sul palco e ruba la chitarra a Rudolf, e inizia un assolo (?) col microfono
strisciato sulle corde, creando un casino che ci sfascia del tutto le orecchie.
Ed infine la scena finale in cui Rudolf, “piantata” la sua Flying-V a terra,
mette la sua testa tra le due code aspettando la ghigliottina che,
fortunatamente, non arriverà. È l’apoteosi di un grandissimo concerto, esaltato
anche dalla stampa nazionale. “Grazie Scorpions! (Un grazie anche a Joan Jett
nonostante tutto) per l’eccezionale serata che ci avete offerto. A presto!
SENTINEL’S STAFF
IRON MAIDEN & MÖTLEY CRÜE live in Bologna 15
novembre 1984
ANCORA UN CONCERTO! Nel giro di
appena 4 giorni siamo in grado di vedere on stage due mostri sacri come
Scorpions e Iron Maiden! Che qualcosa stia cambiando finalmente? Ma bando alle
chiacchiere. La gente fuori del Teatro Tenda bolognese è incredibilmente
numerosa, una piccola Donington in miniatura, una vera e propria riunione di
‘eadbangers forse senza precedenti per quel che riguarda le presenze. Dopo i
soliti incidenti con la Polizia (che carica sempre, così, per far vedere che è
efficiente) si entra finalmente verso le 19 (?). Circa 2 ore dopo si spengono
le luci e MÖTLEY CRÜE appare sul palco. I kids urlano, le ragazzine strillano
arrapate, e l’orgia di sesso e rock’n’roll inizia, multicolore e goliardica.
Glam d’aspetto e di fatto, i Crüe si dimostrano un’ottima macchina rock’n’roll,
divertente, scatenata e coinvolgente, proponendo il loro particolare metallo
zompettante e allegrotto, ma a tratti molto duro e veloce (“Red hot” e “Live
wire”). Vengono richiamati sul palco per il bis e quando lasciano
definitivamente lo stage, il pubblico rimane esausto e soddisfatto (almeno i
palati non estremamente raffinati) in attesa del momento culminante della
serata, che avverrà mezzora dopo. Buio, effetti sonori inquietanti, poi
un’esplosione di luce e colori, ed è subito “Aces high”, un impatto tremendo,
seguita da “Two minutes to midnight”. A
questo punto mi sembra inutile descrivere il concerto canzone per canzone,
visto che chi sta leggendo sicuramente non se lo sarà perso e se lo ha fatto (a
causa di qualche catastrofe naturale) lo saprà a memoria tramite i racconti
riportategli dagli amici. Quello che mi preme sottolineare invece è
l’atmosfera, il feeling emanato dal gruppo, il carisma di Bruce Dickinson e co.
e alcune dispute verbali sorte alla fine del concerto tra alcuni headbangers. È
stato inaspettatamente un concerto molto criticato: Bruce non aveva voce,
Harris e gli altri erano imprecisi nelle esecuzioni, alcuni hanno affermato
(udite! udite!) che le canzoni erano pallose, e che non hanno ascoltato gli
ultimi due o tre pezzi, che i Crüe sono stati migliori ecc. ecc. Beh, forse
Bruce aveva inizialmente una voce un po’ in ribasso, che si è subito
ripresa, tra l’altro, e forse Murray e Harris avranno anche preso qualche
“cappella”, ma questo infierire su una band che ha dato un contributo
incommensurabile alla NWOBHM, che ha inventato un genere, che ha rotto il culo
a tanta gente (e continua a farlo, checché se ne dica) mi fa letteralmente
girare i coglioni. Saranno belli i W.A.S.P., i METALLICA, i CRÜE e tutta la
nuova generazione, ma i brividi che abbiamo sentito durante l’esecuzione di
tracks come “The number of the beast”, “Run to the hills”, “Running free” e
soprattutto la stupenda versione di “Rime of the ancient mariner” chi altro
potrebbe darceli? Priest, naturalmente, Sabbath, Scorpions, Motörhead… e quanti
altri? Ognuno ha i suoi gusti, e qui non discuto, se ad uno i Maiden non vanno
giù, OK! Ma quello che mi fa incazzare è sentire gente che fino a poco tempo fa
considerava questo gruppo il TOP, o quasi, e adesso non fa che denigrarlo.
Naturalmente sto parlando della situazione della nostra città, Terni, ed è tra
l’altro una situazione non generale, sia ben chiaro (d’altronde a Terni abbiamo
anche “metallari” che vanno a vedere renatuccio zero, biglietto £
25.000! o a ballare in discoteche new wave/disco). Comunque
sia, per noi che i Maiden li abbiamo
seguiti e amati fin dal primo disco, il concerto è stato quasi un rincontrarsi
con vecchi amici, e vista anche la calorosa reazione del pubblico, credo che
siamo davvero in tanti a pensarla così. E per quel che riguarda le cappelle,
beh, a meno che la band non si chiami Rush, quelle le prendono tutti,
soprattutto se si è in tournée 23 mesi l’anni; anzi, forse contribuiscono a
rendere più umana l’immagine del gruppo, a farti sentire più vero il concerto.
Per quel che ci riguarda, al prossimo appuntamento live con i Maiden sul suolo
italico, NOI CI SAREMO, e scommetto anche i detrattori, nonostante tutto. Ed è
proprio qui che si vede la grandezza di una band… Alla prossima……….
Maghi,
guerrieri e rock’n’roll
HEAVY METAL
& HEROIC FANTASY
L’heavy metal è senza ombra di dubbio,
uno dei più complessi fenomeni musicali apparsi nella storia della musica
moderna. Come il punk, ed il rock’n’roll in generale, esso sottintende un modo
di vivere, di comportarsi, di vestire, ma a differenza del punk, l’hm contiene
al suo interno innumerevoli sottogeneri e sfaccettature, spesso tra loro
contraddittorie: si noti il contrasto evidente che sorge confrontando bands
quali Manowar o Motörhead, Judas Priest o Wrathchild, un contrasto che va
aldilà del semplice modo di suonare, che emerge anche, e soprattutto, nelle
tematiche, negli atteggiamenti, nel messaggio che il gruppo lancia al proprio
pubblico. L’hm è allo stesso tempo conservatore e anticonformista, reazionario
e rivoluzionario, e di conseguenza il fenomeno assume una complessità mai
riscontrata prima in un genere musicale. Il culto dell’eroe, della forza, degli
Hell’s Angels, che sono tra gli aspetti più criticati dai detrattori, camminano
fianco a fianco con le esortazioni alla rivolta armata contro lo stato (Trust)
o al divertimento godereccio e disimpegnato (Wrathchild, Scorpions, primi
Ac/Dc), al satanismo spettacolarmente anti-cattolico (Mercyful Fate, Venom) o
addirittura al culto della Morte, della distruzione del Genere Umano (Paul
Chain & Violet Theatre). In questo sfaccettato panorama, un particolare
genere della letteratura fantastica, si sposa felicemente col metallo, per le
tinte forti e violente: l’heroic fantasy o”swords & sorcery”. L’hm è, in
numerosi casi, una fuga dalla realtà e dalle quotidiane frustrazioni, verso
altri mondi dove l’essere umano conta per quello che vale, per la sua volontà
ed il suo coraggio, e non per ciò che deve sembrare agli occhi della gente. Ma
a differenza dell’effetto di una droga, questo “trip” musicale dà, al “ritorno”
nel mondo reale, la volontà di combattere, di imporsi alle prepotenze altrui,
di ribellarsi ad una società massificatrice ed ipocritamente perbenista. E qui
sta la grande contraddizione, ma è una contraddizione solo apparente, che salta
agli occhi di un critico superficiale. Il guerriero che combatte le forze del
male, le epiche battaglie tra le opposte forze della Legge e del Caos, la
stupenda guerra contro Sauron descritta da Tolkien nel “Signore degli anelli”,
non sono assurde allegorie della razza superiore e delle fantasie naziste, ma
il bisogno dell’individuo di elevare se stesso, di migliorarsi per essere in
grado di combatterle avversità che quotidianamente gli vengono sottoposte.
Quante similitudini ci sono tra i guerrieri di R.E.Howard ed i moderni
motociclisti osannati dai Motörhead? Molte più di quante si immagini: la
motocicletta, come il cavallo, è simbolo di libertà, di velocità; spade e
catene, armature e cuoio borchiato, magie ed imprecazioni, demoni e antagonisti
materiali (la Polizia, gli “altri”, i “normali”), una vita vissuta al limite in
entrambi i casi, goduta fino in fondo nella consapevolezza che in fondo non c’è
molto da godere. Allegorie ribelli dipinte su uno sfondo rosso sangue,
qualunquiste forse, reazionarie o sovversive a seconda del punto di vista, ma
selvaggiamente vive. Ben venga allora il superuomo, ma non il superuomo di
Adolf Hitler che deve portare la sua perfetta genìa alla conquista e alla sopraffazione
del resto del mondo, bensì quello di Rob Halford, che cavalca nel vento, che
urla per la vendetta, che sfreccia tra le stelle quasi a simbolo
dell’evoluzione umana, che trova il potere e la forza non di sottomettere chi
gli è vicino, ma di impedire che egli stesso venga sottomesso a chicchessia.
L’epic-metal è naturalmente il portavoce più diretto di tali tematiche, che
naturalmente vengono fraintese dai più, ma anche bands non particolarmente
legate a questo genere, come i Judas Priest, o in apparenza diametralmente
opposte, come i Motörhead, le fanno proprie, consacrandosi come gli ultimi
alfieri di quella grande rivolta del rock’n’roll iniziata nei lontani anni ’50
e che non si è mai fermata, né mai si fermerà, almeno finché le chitarre distorte
riusciranno a respingere il massiccio attacco dei sintetizzatori e della
commercialità. È una dura guerra quella che stiamo vivendo, ma chi ha la Fede,
non finirà in ginocchio. Forse l’hm non vincerà la sua battaglia per
l’individualismo e per il mito di una vita per cui varrà la pena di vivere, ma
almeno avrà generi musicali che lo snobbano, lo odiano, lo disprezzano e che,
soprattutto, non lo comprendono.
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
Lo Hobbit (J.R.R.Tolkien) – Il signore
degli anelli (J.R.R.Tolkien) – Elric di Melniboné, Elric il negromante
(M.Moorcock) – Ciclo di Conan il barbaro (12 voll. R.E.Howard) – La spada
spezzata, Tre cuori e tre leoni (P.Anderson) – La storia infinita (M.Ende) – Il
drago e il george (G.Dickson) – Il castello d’acciaio (S.De Camp-F.Platt) –
Ciclo del Mago di Earthsea (3 voll. U. Le Guin)
HM
RECENSIONI
“DETACHING
FROM SATAN” - PAUL CHAIN & VIOLET THEATRE
“LO SPIRITO DEI MORTI
CI SOVRASTA MISTERIOSO
PERCHÉ È GIÀ SAPIENTE
DI TUTTO CIÒ
CHE NOI CERCHIAMO
GIORNO DOPO GIORNO”
Finalmente l’attesa prima opera
ufficiale di Paul Chain e il Teatro Viola. Un’attesa ricompensata con uno dei
lavori più intelligenti e geniali apparsi nel nostro disgraziato paese da molti
anni a questa parte. I pezzi sono eseguiti con membri diversi dagli ultimi
DEATH SS, la formazione più famosa, che continuano comunque a far parte della
band che conta ormai numerosi elementi che si alternano continuamente, con Paul
Chain come punto fisso di riferimento. Chi non ama il dark probabilmente non
apprezzerà questo ep, ma non potrà negare la classe e la genialità che traspare
da ogni solco di questo vinile. “OCCULTISM” apre la danza macabra con un
ossessivo riff che si protrae fino all’esasperazione dell’anima (per chi ce
l’ha) e abbiamo la piacevole sorpresa di ascoltare la voce di Paul Chain stesso
urlare da un lontano sepolcro. Segue “VOYAGE TO HELL” con un impatto più
“metallico”; stesso dicasi soprattutto per “ARMAGHEDON” che apre la facciata B,
introdotta da stupendi cori gregoriani. Chiude il disco forse il pezzo
migliore, “17 DAY”, che riimmerge il tutto nel dark più cupo, con uno stacco
d’organo da chiesa all’interno del brano stesso, che termina con oscuri cori
provenienti da cimiteri dimenticati. Che altro aggiungere? Un grande disco, da
gettare in faccia a tutti coloro che tentano in tutti i modi di boicottare la
band, ai denigratori, a tutti quelli che non comprendono, e che non
comprenderanno mai. È l’imperdibile manifesto di una band che ha saputo
rinunciare ad un successo probabilmente in scala internazionale in nome di
ideali ritenuti giusti e seguiti fino in fondo, rifiutando la manipolazione e
la strumentalizzazione da parte di chicchessia.
CHE LA SANTISSIMA MORTE VI
ACCOMPAGNI!!!
Dio “Mystery” (ep)
Tratto dall’ultimo capolavoro di
Ronnie J.Dio, esce il mix con “Mystery” più una decina di minuti del nostro
amico pescato dal vivo allo Spoken Coliseum di Washington. Vengono eseguite
“Eat your heart out” dall’ultimo lp e “Don’t talk to strangers” dal primo. C’è
bisogno da dire che il tutto è me-ra-vi-glio-so?
Bathory “Bathory”
Ovvero la band più veloce della
faccia della terra. Al suo confronto i Voivod diventano degli zuccherini.
L’album suona troppo Venom (anche nei titoli, nel logo e nella grafica di
copertina). Le canzoni sono molto simili tra loro; niente fantasia quindi, ma
per chi ama il genere, il disco è imperdibile.
Gravestone “Victim of chains”
Appena abbiamo messo il disco sul
piatto, abbiamo pensato che il negoziante ci avesse rifilato la classica
“sòla”. Infatti l’attacco è spudoratamente ricopiato a “Blackout” degli
Scorpions. A questo punto ci siamo incazzati e stavamo per buttare via il
disco, ma andando avanti nell’ascolto, le cose cambiano, anche se in definitiva
la band non è un granché.
Cutty Sark “Die tonight”
Cutty Sark, ovvero la marca di un
famosissimo whisky, ha dato il nome a questo gruppo tedesco. Classico disco per
headbangers; la voce è simile a quella di Vince Neil e anche il resto non si
discosta molto dal sound dei quattro Crüe.
Tokyo
Blade “Lightning strikes (ep)”
…E te pareva! Due album, un ep
con 4 pezzi inediti e, come se non bastasse, un altro ep con 2 pezzi inediti
dei Tokyo Blade, il tutto nel giro di 12/13 mesi. Solo per questo bisogna
additarli come rivelazione dell’anno. Se poi ci mettiamo che le songs sono molto
belle, allora il discorso diventa più completo. Il brano che dà il titolo al
mix, è già edito sul secondo lavoro della band; sul lato B compaiono due nuove
songs “Fever” e “Attack attack” che, sinceramente, sono tra le migliori cose
del repertorio della Lama di Tokyo. Solo una cosa ragazzi, cerchiamo di non
inflazionare il mercato e le pagine di Sentinel, anche se ve lo meritate.
Discorso inutile, tanto nel prossimo numero staremo a parlare ancora
dell’uscita di un nuovo album, o del nuovo 45 giri, o del nuovo….
Blackout “Evil games”
Un album dalle due facce. La
prima, e cioè il lato A, dove il gruppo olandese ci ricorda parecchio i Picture
di “HM ears” (cioè un sound vicino al primo Van Halen). La seconda, e cioè il
lato B, in cui la band cambia totalmente, inoltrandosi in pezzi più tirati, più
spiccatamente heavy. Naturalmente noi preferiamo il lato B.
Motörhead “No remorse”
Così i Motörhead erano finiti?
Hah!!! Giustamente intitolata “Nessun rimorso” (con quale inesistente coscienza
Lemmy potrebbe provare rimorso?) questa doppia antologia è il miglior manifesto
che i Motörhead potevano fare di sé stessi. Tutti brani che hanno fatto la
storia dell’hm e dell’hardcore in particolare, classici come “Overkill”,
“Bomber”, “Ace of spades”, “Iron fist”, “Motörhead”, “No class” e tanti altri,
ma anche e soprattutto ben 4 brani inediti incisi con la nuova formazione, il
cui compito è di frustrare le convinzioni degli sciocchini che davano per morta
tale macchina per uccidere. “Killed by death”, “Snaggletooth”, “Steal your
face” e soprattutto “Locomotive” mostrano i Motörhead al massimo della forma,
più tremendi che mai, completamente ripresesi dalle atmosfere più orecchiabili
di “Another perfect day” e tornati ai vecchi massacri sonori. Vai tranquillo,
Lemmy, il nostro cuore sarà sempre a forma di asso di picche, con inciso sopra
“Born to lose, live to win”.
Kiss “Animalize”
Terzo album della svolta Kiss.
Altro chitarrista 8attualmente fermo per un problema alla mano) Mark St.John,
ed ennesimo album duro e divertente. Per chi ha amato i Kiss di una volta, per
chi li ha odiati per “I was made…”, per i nuovi kids che li hanno scoperti con
“Creatures of the night”.
Grave
Digger “Heavy metal breakdown”
Grossa band tedesca all’esordio
su vinile. Pezzi prettamente hardcore (ma fatti con cura) si susseguono a pezzi
dannatamente dark. Senz’altro la più grossa rivelazione europea di questi
ultimi mesi. “Headbangin’
man”, “H M breakdown” e “Back from the war” su tutte.
Blade Runner “Hunted”
Cara Inghilterra, ormai hai perso
lo scettro del paese dell’heavy metal. Le nuove forze americane, scandinave,
mitteleuropee, ti stanno dando dei punti. Cerchiamo di risollevarci o finisce
male. Blade Runner? Un gruppo come ce ne sono mille adesso nel Regno Unito.
Krokus “The blitz”
I Krokus sono stati, sono, e
saranno sempre le brutte copie di gruppi più famosi e più ricchi. I primi
albums erano nettamente influenzati dai 5 australiani che rispondono al nome di
AC/DC (vedi “One vice at a time”). Col 6° album, “Headhunters”, sotto la regia
di Tom Allom, il loro sound si avvicina, e di parecchio, a quello dei Priest.
Con il loro 7° lavoro, questo “The blitz”, setacciano anche l’ormai stracopiato
Def Leppard-style. Per lo meno sono dotati di un ottimo cantante (il maltese
Marc Storace). Buoni i due pezzi iniziali “Midnite maniac” e “Out of control”.
Pretty
Maids “Red, hot and heavy”
Dopo l’ottima prova del mini lp
d’esordio, Pretty Maids torna con un altro buonissimo vinile. La band passa con
disinvoltura dall’hardcore all’orecchiabile, all’epico. Continuate così
“Graziose fanciulle”, eliminate magari un po’ di indecisione nella scelta della
linea musicale da seguire, per il resto tutto ok. Sopra tutte “Back to back”, “Cold killer” e “Queen of dreams”
Omen
“Battle cry”
C O M P R A T E L O ! ! ! ! ! ! !
! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! !
Deep Purple “Perfect strangers”
È stato definito “l’evento rock
dell’anno”, e probabilmente lo è, finanziariamente parlando. Un buon disco per
i nostalgici, ben fatto, ben curato, piacevole da ascoltare. Non c’è grinta,
purtroppo, solo tanta ma tanta esperienza e classe, che, si sa, non è acqua.
Chi si aspettava qualche pezzo alla “Highway star” o “Fireball” resterà deluso,
ma non più di tanto. Un disco che è prima di ogni altra cosa un’evidente
operazione commerciale, il classico colpaccio operato da una casa discografica
intraprendente. Il disco non può non piacere, ma un dubbio sorge alla fine: ci
staranno prendendo per il culo? Meditate kids, meditate…
Armored
Saint “March of the saint”
Dopo l’ep che li ha fatti
conoscere in tutto il mondo l’anno scorso, gli Armored Saint escono su vinile
per la prima grande prova discografica, e per una label importante come la
Chrysalis. L’album è bello, ma sinceramente ci aspettavamo qualcosa di più. Se
c’è una cosa che non sopporto, è quella di non adeguare la musica ai titoli!
Comunque, come ripeto, l’album è buono, soprattutto la title-track, e vale
sicuramente la pena di acquistarlo.
Jack
Starr “Out of darkness”
Come ormai sapete tutti, I Virgin
Steele si sono scissi in due parti: da un lato il vocalist D.Defeis e
dall’altro il chitarrista J.Starr. E proprio da quest’ultimo arriva il disco
nuovo. Per questo lavoro Jack si è avvalso della collaborazione di Rhett
Forrester (ex-Riot) alla voce e alla sezione ritmica dei Rods. Ne è uscito
fuori un gran bel disco. Da acquistare ad occhi chiusi.
Tank “Honour & blood”
Ritornano i figliocci dei
Motörhead con il loro 4° album. Adesso sono in quattro, avendo aggiunto un
chitarrista. Permane un sound tirato e potente, ma ci sono spazi melodici molto
ben fatti. Sicuramente tra i lavori migliori usciti in Inghilterra quest’anno.
Metallica “Creeping death (ep)”
Tratto dall’ultimo, meraviglioso
“Ride the lightning”, esce il 45 giri “Creeping death”. La chicca è
rappresentata da due songs inedite (per i Metallica), ma già edite da latri
gruppi. “Am I evil?” compariva su “Borrowed time” dei Diamond Head, mentre
“Blitzkrieg” è un pezzo dell’omonimo gruppo dell’epoca della prima NWOBHM,
gruppo che ora è conosciuto con il nome di Satan. Niente da dire sulle versioni
che i Metallica danni ai due pezzi.
EXILE
EXILE nasce a Verona nell’aprile
del 1983, ma non è composta da elementi che seguono solo la moda metallica e
l’ultimo filone, ma da giovanissimi kids (età media 19 anni) che vivono nel
rock da sempre. EXILE non è altro che la punta di una dinastia di band che si è
accavallata fin dal lontano autunno del ’79, quando l’heavy metal era ancora a
livello underground. Gli esordi sono caratterizzati da un sound molto grezzo
che ricorda Ac/Dc e Holocaust. Ma ciò dura fino al settembre di quell’anno
quando, dopo aver vinto una manifestazione musicale, capiscono di avere qualche
numero. Decidono quindi di affinare la propria tecnica e di gettarsi su una
sound più melodico, mantenendo però l’energia di base. Pieni di entusiasmo, i
quattro riescono finalmente a trovare un genere a loro confacente. Dal vivo
rimangono sempre una band molto potente ed ogni loro live-act, è una miscela di
sensazioni forti, grazie soprattutto alla potente sezione ritmica. La line-up
non ha mai subito variazioni, a testimonianza di un reale affiatamento: Pietro
“Peter King” (drums, vocals), Giuseppe “Giumelly” (guitar, vocals), Gianni
“Metal John” (lead vocals) e Marco “steel brain” (bass) sono gli EXILE. Gusti e
preferenze sono differenti tra i quattro, ma riescono ad andare d’accordo,
perché cercano tutti, oltre alla potenza, una pulizia sonora, un sovrapporsi di
atmosfere ed un sound che non ricalchi i classici schemi hard-rock o heavy
metal. Il drummer è l’autore della maggior parte del repertorio EXILE, mentre
Metal John e Giumelly, operano sui pezzi più aggressivi. Il vocalist è anche
l’autore dei testi, testi che riguardano argomenti reali: la strada, la
solitudine, la ghettizzazione solo perché sei un rocker, gli attimi di gioia
con una ragazza, oppure una serata tutta musica e birra, ma non tralasciano il
dark-sound. EXILE è solamente una band di rockers che non vuole lasciare
messaggi, se non quello universalmente riconosciuto da tutti gli heavy metal
kids: “METAL RULES THE LAND!”
FIRE
Il gruppo si forma nel marzo
1982. La line-up iniziale fu: ENZO CONFORTI (chitarra e voce), JAN D’AMORE
(batteria) e RICKY DEON (basso e voce). Quello del bassista-cantante, è stato
sempre il problema del gruppo romano. Infatti, in due anni, hanno già cambiato
4 bassisti (R.Deon, Max De Santis, Alberto Baldin e Sergio Marini, l’attuale
bass-player). Con la prima formazione, partecipano al 2° Festival Rock
Italiano, fanno diversi concerti, anche fuori Roma, ed hanno addirittura una scrittura
per il film “Delitto sull’autostrada”, nel quale c’è appunto una scena in cui i
FIRE suonano “Rockin’ on a rock”, incisa per l’occasione, e da cui poteva
uscire un disco, ma i soliti problemi di promozione e distribuzione, non se ne
fece niente. Nel novembre ’82, incidono il primo demo, che comprende “Before
the dawn”, “On the run” e “Get out of my life”. Quest’ultima ottiene diversi
passaggi radiofonici e televisivi. Nel febbraio ’83, col nuovo bassista M.DE
SANTIS, suonano in parecchi locali della capitale (Zoso, Camouflage).
Partecipano anche a delle trasmissioni TV, e un loro concerto al Piper, viene
trasmesso dalla Rai 3. il 1984 comincia con un memorabile show al Brixton Club;
poi un’infinità di gigs, che fanno dei FIRE, il gruppo con più concerti sulle
spalle della capitale. Nuovo cambio del bassista: subentra A.BALDIN, che
esordisce in una “4 giorni heavy” al parco di via Meda. Naturalmente il gruppo
non è conosciuto solo a Roma, ma anche all’estero. Quest’estate sono stati in
Belgio per suonare, ma anche per definire gli accordi con delle case
discografiche belghe (Mausoleum?). Dopo il concerto al parco di via Meda,
girano un video, “Stop lookin’ back” per la TV polacca (???), per intercessione
di Alex Zylowsky, che ha promesso loro l’incisione per la Polygram.
METAL NEWS
METALLICA ha firmato un contratto per 8 albums per la
Elektra… Tornano gli alfieri del southern rock MOLLY HATCHET con l’album “The deeds is done”… Altra band sotto contratto per la Emi
America: sono i californiani WHITE
SISTER… Anche ALCATRAZZ ha
firmato per una grossa label, la Capitol… SPELLBOUND
è un’altra band svedese all’esordio discografico. Il disco, che contiene 10
canzoni, si chiama semplicemente “Spellbound”… Ancora problemi per i BLACK SABBATH che, dopo la
dipartita di David Donato, sono alla ricerca di un vocalist… Gli ANTHRAX hanno un nuovo vocalist,
Matt. Il secondo album dovrebbe uscire in questi giorni e si intitolerà
probabilmente “Spread it”… Esce in questi giorni un doppio album (contiene solo
8 pezzi!!!) per la cult-band inglese ENID;
il titolo è “The spell”… WARLOCK
ha firmato per la Polydor; il nuovo album sarà in uscita a gennaio… La Carrere
rec. ha fatto uscire un’antologia dei SAXON
(che sia il canto del cigno?), dal titolo “Strong arm metal”… Uscirà probabilmente
a gennaio il secondo lp per i WRATHCHILD
“Wrath of the godz”… Si sono riformati gli UFO,
ad appena un anno dallo scioglimento; della line-up originale, c’è il solo Phil
Mogg… Dal 15 gennaio prossimo, uscirà regolarmente in edicola THORR, metal magazine italiana
di ottima fattura e contenuti (sarà completamente a colori e sarà distribuita
in tutta Europa). Auguroni dallo staff di Sentinel (l’appuntamento è per ogni
15 del mese)… Sta per uscire sul mercato, il primo ep per gli anconetani GUNFIRE… Sarà probabilmente live
il prossimo lp dei VANADIUM…
e per finire, annunciamo con rammarico, la fine di HEAVY, metal fanzine di Pavia. Saluti a Maria Teresa che
collaborerà con Sentinel nei prossimi numeri…
DEMOLITION!!!
Italian demo tapes
BLACK HOLE “Beyond
the gravestone”
Trio veronese, autore di un 12
tracks-demo pieno di sonorità lugubri, funeste e maledette, in “first Black
Sabbath style”. Per chi ama il genere è un demo imperdibile. Parecchie canzoni
hanno l’intro con un sinistro organo. Durante l’ascolto, vedrete immagini buie
e contorte passarvi per i meandri più sconosciuti della vostra mente. Peccato
che in Italia ci sia già un tal Paul Chain, perché i BLACK HOLE sarebbero stati
senz’altro i migliori esponenti del dark-sound. Ottima la grafica di copertina.
DEVIL’S CLAWS
Dalla “città fantasma” degli
Steel Crown, arriva sul mercato nazionale dei demos, quello dei Devil’s Claws.
Contiene tre pezzi molto ricercati. Non sono certo amanti delle cose semplici.
Non è il consueto “intro-strofa-ritornello-strofa-assolo”, ma cercano di
spaziare un po’ dovunque. Comunque la vicinanza di un gruppo come gli Steel
Crown, crediamo abbia giocato un ruolo particolare sulla band, dato che in
qualche tratto, ce li ricordano.
LIVE
È attualmente l’unico gruppo
genovese di cui siamo a conoscenza dell’esistenza. Sono in tre e ci propongono
del buon power-rock cantato in italiano, ma il fatto non abbassa il tono dei
LIVE, anzi, la violenza dei testi, ce li fa gustare meglio. 6 sono i pezzi, tra
cui “Elettroshock” potentissima e tiratissima, “Rocbeteknici” e “Metallo
pesante”, con un coro adattissimo dal vivo. “Spandau”, “Rosso metallico” e
“Live”, chiudono questo ottimo tape.
MONOLITH “An eye
for an eye…”
Dopo un lungo periodo di
silenzio, ritornano I viareggini Monolith che, cambiato il cantante, registrano
un altro demo, che però contiene le songs già presenti sul precedente, più 4
pezzi nuovi. Dediti all’hardcore (non sempre però), con sprazzi melodici ed
epici. A noi è piaciuto parecchio (buono il nuovo vocalist Clepty Mc Charon),
anche se la registrazione non è delle migliori.
POWERAGE “Doomed to
power”
Ecco i protetti della fanzine “Welcome to hell” (ciao
Alberto!). vivere in una città come L’Aquila, ha fatto sì che questo
gruppo venisse additato da tutti. Nel demo, tutta la rabbia covata per anni,
viene data in pasto agli sprovveduti, a coloro che credono che il buon heavy
metal si possa fare solo nelle grandi città. I testi dovrebbero parlare di
fantascienza (“The end of the world”, “The book of the red dragon’s lagoon”,
“Death and life”); musica tirata e accattivante. Proseguite su questa strada,
Powerage!
SERENA ROCK BAND
A Padova, riscuotono ampi
consensi, soprattutto dalla stampa specializzata e non. Da noi sono
praticamente sconosciuti (li potete ascoltare nel programma “ROCK BRIGADES” di
Radio Alice, come del resto tutti i demos che recensiamo n.d.r.). Sta per
uscire il loro primo album che, pensiamo, contenga le songs registrate su
questa cassetta. Franco Serena è un ottimo singer, di chiara scuola Gillan, anche
se non ha i guizzi altissimi di Ian. Hard rock suonato bene e cantato meglio,
quindi, per una band che cercherà di demolire il primato dei Vanadium, e
pensiamo ci riusciranno.
SKANNERS
Anche il Trentino ha la sua band…
e che band! Il demo inizia con una voce che invita la “gente normale” a non
uscire di casa la sera: c’è pericolo di morte! Ed inizia “Oltrisarco in the
night”, che altri non è che la “Steeler” di priestiana memoria. 7 pezzi in
tutto, tra cui la bellissima “Killers” cantata in italiano (l’unica), “Smoke to
hell” e “Scorpion rider”. Bravo il cantante, buono l’impatto e il lavoro delle
due asce. Consigliatissimo.
HALLOWEEN
Pensiamo non ci sia bisogno di
presentarli, dato che sono tra i gruppi più famosi d’Italia. Questo
4-tracks-demo non è altro che un piccolo antipasto dell’esordio discografico
del trio udinese. Infatti 3 pezzi su 4 compariranno nell’ep “Beggin’ for mercy”
di prossima uscita. Il quarto è la conosciutissima “Vikings” già su “Heavy
metal eruption”. Ronnie Evil Angel è il sex-symbol per eccellenza del panorama
metallico italiano. Anche quando si fa fotografare nell’atto di decapitare un
gatto!!! 8la pubblicheremo prossimamente n.d.r.). Se proprio volete un giudizio
sul demo, è bellissimo… e basta!!!
THUNDER “Kidspower invasion”
È sicuramente la band romana più
seguita dai kids capitolini. E questo demo è tutto per loro. L’impatto è un
vero e proprio tuono: “Fuck ‘em all” è un anthem da gridare sotto il palco in
preda al più sfrenato headbangin’. Gli altri pezzi sono più ricercati, con
continui cambi tra melodia e violenza. Il cantante non ci sembra all’altezza
della situazione (anche dal vivo), ma i kids sono giovanissimi, e possono fare
strada, soprattutto grazie all’apporto degli ‘eadbangers romani. Il tape va
acquistato soprattutto per “Fuck ‘em all” e “Unchained warrior”.
ALVERMAN “Havin’ a
look beyond the wall”
Peccato sia registrato malissimo,
perchè è un gran demo questo dei padovani Alverman. Epic-horror nella miglior
tradizione Warlord, ma anche molto personale. Il vocalist, poi, è una vera
rivelazione (ricorda a tratti David De Feis dei Virgin Steele), anche se la
voce sia la cosa registrata più malamente. Hanno le carte in regola per
sfondare. Da conoscere assolutissimamente.
SWORDS
Altro gruppo patavino, molto
diverso dagli Alverman o dalla band di Franco Serena. Dei tre, è il gruppo che
ci coinvolge di meno, anche perché le songs hanno qualcosa di già sentito.
Alternano cose pregevoli ad altre scontate. Non è di facile comprensione,
soprattutto per il fatto che la band dà molto spazio alla melodia, tralasciando
un impatto più marcatamente heavy. Solo dopo 3 o 4 ascolti, si può apprezzare
il lavoro. Molto buona la seconda facciata.
AXE HERO
Questa band arriva dalla
provincia di Vicenza e il demo che ci propone, è composto da 5 pezzi. Il lato A
(“Lovin’ Japan” e “Country side”) è da studio, e ci ha coinvolto stupendamente.
Non cercano soluzioni architettose, ma si lasciano andare a delle cose semplici
e gustose, tirate e piene di ritmo. La side B (“The demon will appear”, “Nation
blood” e “Rockin’ again”) è dal vivo, e dimostra sempre più la buona
preparazione del quintetto vicentino. Ok ragazzi!
RANSACKERS
Questo non è un vero e proprio
demo, ma una serie di pezzi (5) registrati durante l’onesta carriera di questi
rockers romani. “Metal storm” e “Dead end row”, fanno parte del primo vero
demo-tape. Buone, soprattutto la prima. “Death line” è il pezzo che compariva
su “HM eruption”, ma a differenza del disco, è registrata molto meglio, quindi
rende di più. “Ransackers” è la song che vede alla voce il chitarrista Armando
Serafini (prima il gruppo era formato da 5 elementi, ora sono in 4) ed è forse
la migliore del tape. “You’re still a dream” è cantata da Ritchie una ragazza
che cura i testi e i contatti del gruppo, ma che per una volta ha provato a
mettere la sua voce a disposizione della band. È una buona ballata che sa anche
essere accattivante, soprattutto per la voce “da maschietto” di Ritchie.
WRATHCHILD “Live at Greyhound Fulham”
Ero molto curioso e scettico su
questo tipo di heavy metal etichettato “glam”. Naturalmente lo ero prima del
concerto. Questi 4 assassini, depravati, mi hanno massacrato a colpi di
rock’n’roll e mascara, a cominciare dall’opening “Stakk attakk”. Con le
seguenti esecuzioni di “Wreckless”, “Kick down the walls” e “Law abuser”, i
kids erano già in tilt, scuotevano le loro carcasse con velocità lancinante.
Ottima impressione mi ha fatto il vocalist Rocky Shades, che possiede un’ugola
potente e la classe di tener molto bene il palco. Lo show è andato avanti con
“Do ya want my love” e “Twist of the knife”, ma il culmine è stato raggiunto
durante l’esecuzione di “Alrite with the boyz”, quando il drummer Marc Angel ha
cominciato a picchiare la sua batteria con le mazze ferrate e i martelli. In
quel momento è successo di tutto. Ci si avvia alla fine con “Too wild to tame”
e “Tonite”. Lo show si
conclude con “Rock the city down”, “Shokker” e “Sweet surrender”, oltre a
“Trash queen”. Divertente!!!
Alessandro V.
EBONY CATALOGUE
Demon Eyes: Un nuovo quintetto di black metal di Sannois, vicino
Parigi, in Francia. Esordirono su “Metal plated”, una compilation della Ebony,
con il pezzo “Les deux citée maudites” e siamo felici di presentare ora il loro
debut-album “Rites of chaos”. Demon Eyes si sono formati 2 anni fa quando Remy
Bertelle si unì a Thierry Masson, Philippe Masson e Philippe Chastagnol. A quel
tempo, Philippe Masson ere il batterista, e tutte le tracks erano strumentali.
Nell’estate dell’82 incontrarono un nuovo batterista dell’area di Nizza, e
P.Masson divenne cantante. La nuova line-up lavorò duramente con numerosi
concerti nell’area parigina e si crearono molto in fretta un largo e fedele
seguito. Dopo molti concerti nel loro paese, D.E. prepararono un demo e la
Ebony li scelse per “Metal plated”. Ricevettero eccellenti recensioni non solo
nel loro paese, e la Ebony li convinse ad offrir loro un contratto
discografico. D.E. sono potenti, duri e allo stesso tempo melodici, e la loro
musica è allo stesso tempo selvaggia e tecnica. Sono molto spinti
radiofonicamente in Francia, Belgio ed Olanda e attualmente stanno lavorando al
video promotore di “Rites of chaos” per la tv francese.
DEMON EYES are:
Philippe Masson (vocals) – Thierry Masson (lead
guitar) – Philippe Chastagnol (lead guitar)
Remy Bertelle (bass) – Bob Snake (drums)
NIGHTMARE: Una stupefacente hm band proveniente da Grenoble, nel
sud della Francia. Questo quintetto è estremamente popolare in Francia,
specialmente dopo essere stato il gruppo di supporto dei Def Leppard
quest’anno, ed ora sono pronti a diventarlo nel resto del mondo. NICOLAS DE
DOMINICIS è il chitarrista solista e si è unito alla band nell’aprile 1982.
Nato nel dicembre del ’63, è influenzato da Van Halen e Iron Maiden. JOSE AMORE
è il batterista e si è unito al gruppo nell’ottobre del 1981 come uno dei
membri fondatori. È nato nel gennaio del ’62 e i suoi punti d’ispirazione sono
Rainbow e Iron Maiden. YVES CAMPION, il bassista, è anche lui uno dei membri
fondatori. Ha 21 anni ed è influenzato da Iron Maiden e Vandenberg. CHTISTOPHE
HOUPERT è il cantante, e si è unito al gruppo solo nel luglio dell’83. È nato
nell’aprile del 1962 e le sue preferenze vanno a Whitesnake e Deep Purple. JEAN
STRIPPOLI è il più recente acquisto della band. Suona la chitarra ed è entrato
nei Nightmare nell’aprile ’84. Ha 21 anni ed è influenzato da Journey e M.S.G.
BLADE RUNNER: Blade Runner è un five-pieces dell’area di
Humberside che sono insieme da più di un anno, e che solo da poco hanno
acquistato il nuovo singer Steve Mac Kay. Steve è di Nottingham, ed è stato
cantante in altre bands per 6 anni. Possiede una singolare e potente voce,
nello stile di Phil Mogg o Bruce Dickinson. Gary Jones è il chitarrista, di 22
anni, e si prepara ad entrare nella cerchia dei nuovi guit-heroes. Anche lui ha
suonato in numerosi gruppi prima di unirsi ai B.R. come axeman. Mark Wilde è
l’altro chitarrista ed è il più giovane del gruppo: ha solo 17 anni! Greg
Ellis, il 18enne batterista è uno dei più potenti degli ultimi tempi. Mick
Cooper, il bassista, ha 23 anni. L’immagine dei Blade Runner, sia on stage che
non, è molto importante. La band cerca di piacere e divertire tutti quelli che
vanno ai suoi concerti e cerca di coinvolgere il pubblico il più possibile. La
loro è musica per metallari, e non potrete trovare alcuna indulgenza in essa.
Dopo aver duramente lavorato al nuovo album, la band è attualmente in tour.
STERLING COOKE FORCES: Gli STERLING COOKE FORCES si evolvono intorno alla
figura dello straordinario chitarrista Sterling Cooke, 27enne e proveniente da
Tamaqua in America; suona il suo particolare tipo di heavy metal con risonanze
dello stile di Hendrix e Trower. Sterling suona da 12 anni ed è un chitarrista
molto preparato; la sua band si completa con Abbie Coccio e Mike Dutz alla
batteria e al basso rispettivamente. Il gruppo suona sempre intorno a New York
e regolarmente nei clubs del Greenwich Village, il punto di partenza di molti
dei migliori chitarristi del mondo. La band è in tournée in Inghilterra per la
fine dell’anno, e attualmente sta lavorando al video promozionale per l’album,
che sarà mandato in anteprima su MTV negli Stati Uniti.
HOLLAND: Provenienti da Niddlesbrough, Holland potrebbe
essere un nuovo nome nella scena heavy rock, ma provvisti di un fresco e
vigoroso suono ed una solida reputazione live, questi nuovi arrivati sono
destinati al top.
Ken
Nicholson (chitarra)-Ken, “l’uomo calmo” della band, aveva già avuto una
preziosa esperienza in un’altra ben conosciuta band del nord-est, i Black Rose.
Musicista di tutto rispetto dell’area di Cleveland, si distingue per i dinamici
assoli. Bob Henman (chitarra)-Bob, “L’uomo ancor più calmo” della band, rivolse
la sua attenzione agli altri membri nel tardo 1982. Di discendenza olandese (da
qui il nome Holland), ha la particolarità di essere mancino. Marty “Dog”
Wilkinson (voce)-Uno straordinario multistrumentista, cantante e frontman. La
sua superba e potente voce con impostazione blues e la sua grande personalità
sul palco fanno di lui il punto focale della band, sia in studio che on stage.
Graeme “Hutch” Hutchinson (basso)-Il più giovane membro della band, fornisce a
Holland una tuonante sezione ritmica. Ha suonato in numerose bands di
Vleveland, compresi gli abbastanza famosi, nel luogo, Lazy Dog, Graeme ebbe un
ruolo fondamentale nella formazione del nucleo iniziale di Holland nell’82.
Marty Day (batteria9-Con una solida esperienza, Marty fu con gli Axis tra il
’79 e l’81, con i quali registrò un singolo prima di unirsi agli Holland. Un
potente batterista nella miglior tradizione, e non c’è molto da aggiungere
riguardo quest’uomo che è nominato nell’International Encyclopedia of Hard Rock
and Heavy Metal.
CHATEAUX: Torna una band già popolare e di successo con un nuovo
album che promette di superare le alte vendite del loro primo lp “Chained and
desperate”. Tim Broughton è il membro chiave, autore dei pezzi e chitarrista,
ha formato una nuova e più forte line-up, ed il loro management ha organizzato
un tour che coinciderà con l’uscita del loro prossimo album, previsto per la
fine di aprile/inizio maggio. Tim ha reclutato il batterista Chris Dadson alla
fine dell’83, che ha dimostrato di essere l’ideale “picchiatore” per il molto
più potente ed energico rock che i nuovi Chateaux producono. Dopo l’audizione
di un vasto numero di bassisti, l’uomo giusto fu trovato in Krys Mason. Krys,
un superbo musicista di Leeds, possiede inoltre una buona e potente voce, e
suona le tastiere e il “Taurus pedals”, e dona a Chateaux una potentissima
sezione ritmica. Chateaux sono entusiasti della musica di “Fire power” e si
preparano a partire in tour per promuovere il disco.
SYRON VANES: Syron Vames si è formato a Malmöe in Svezia,
nell’agosto 1982, per opera di Andy Seymore e Stephen Mavrock (chitarra e
batteria) a cui si aggiunse presto un buon chitarrista, Rimmy Hunter. Il
problema era trovare un buon bassista e un cantante; cercarono molto, ma non
riuscirono a trovare ciò che veramente volevano. Dopo 6 mesi avevano fatto solo
un paio di concerti, e sembrava che la fine fosse vicina. Rix Volin, intanto,
leader del gruppo High Level, aveva lasciato la sua band per cercare qualcosa
di nuovo e decise di unirsi ai Syron Vanes. Cominciarono così a provare insieme
giorno e notte, cercando di diventare il gruppo più divertente di tutti i
tempi. Il loro primo concerto fu un vero successo. Rix Volin al basso e alla
voce, Nady e Rimmy alle chitarre e Stephen alla batteria sembrò essere la
formazione definitiva. Ma Rix sentiva che non poteva esprimersi al massimo
delle sue capacità suonando il basso e cantando allo stesso tempo, così i S.V.
decisero di cercare un bassista e questo risultò anche più difficile di trovare
un cantante. Dopo aver provato un gran numero di bassisti avevano in effetti
perso la speranza di trovare ciò che volevano in Svezia; così pensarono di andarlo
a cercare nella vicina Norvegia. Il suo nome era Ace Greensmith e aveva già
suonato con numerose metal-bands. Con 5 membri nel gruppo il lavoro procedette
meglio di prima, e questa fa la formazione definitiva del gruppo. S.V. non
suonano “heavy metal svedese” come la maggior parte delle rock bands svedesi.
Il fatto è che, secondo loro, l’heavy rock svedese è un po’ noioso, e questo
gli conferisce una cattiva reputazione tra gli headbangers. Syron Vanes
preferisce così seguire lo stile della NWOBHM, con un po’ di Mötley Crüe e di
Queensrÿche (very good!!!). E sicuramente non inquineranno la loro musica con
tastiere o roba del genere!
THUNDER STIFF STEEL CROWN
LIVE!
Teatro Mongiovino (Roma) 24 novembre 1984
Questo novembre ’84 sarà
ricordato senz’altro come il mese dei concerti metallici. Dopo la discesa sul
suolo italico di Maiden, Scorpions, Crüe, Joan Jett, Metallica e Tank, il mese
è stato pieno anche di concerti di bands italiane, ed uno dei più importanti di
questi è stato senz’altro quello del 24 novembre scorso, a cui hanno
partecipato Thunder, Stiff e Steel Crown.
Aprono le ostilità i romani
THUNDER, una band che non esita a tener fede al suo nome; ma salti
dell’amplificazione e altro problemi tecnici come il volume delle chitarre,
basso rispetto alla voce e alla sezione ritmica. Noi eravamo molto curiosi di
vedere in azione i Thunder, dopo la buona impressione che ci aveva fatto il
loro demo “Kidspower invasion”. Purtroppo gli inconvenienti nominati ci hanno
impedito di apprezzare appieno il lavoro della band; a parte “Fuck ‘em all”,
“Unchained warrior” e “On and on”, le altre songs non ci hanno convinto del
tutto. Comunque la giovane età gioca in questi casi un ruolo particolare, e
confidiamo che il tempo farà dei Thunder uno dei migliori gruppi della
capitale; consideriamo quindi il concerto del Mongiovino come una mediocre
parentesi e nient’altro. Pochissimi minuti di riposo, quindi l’ormai
famosissima “O fortuna” tratta dai “Carmina Burana”, annuncia trionfalmente
l’esibizione degli STIFF. È stato senz’altro il miglior show della serata; il
concerto si è aperto con “Heavy metal attack”, in un buon Exciter-style. “Talkin’
to the night”, la bellissima “Madame Claude”, cavallo di battaglia della band
di Tarquinia e una delle più belle songs di Italian Metal, e tanti altri hits
vincenti, hanno consacrato Stiff al suo pubblico non più come una promessa, ma
come una potente realtà. Nonostante l’amplificazione sia saltata un paio di
volte, la band ha dimostrato di “rientrare” sempre a tempo, dimostrando così
tutta la sua grande professionalità, ed il feeling che riescono a trasmettere
ai kids ha qualcosa di toccante, che ti entra dentro e non ti lascia più. Da
notare l’eccezionale assolo di Massimiliano sul finale di “Crystal ball”,
sicuramente una delle migliori ascie della penisola, che fonde magistralmente
gli stili di Randy Rhoads e Jackie E. Lee. I pezzi si sono susseguiti, tra
nuovi e vecchi, per un’ora circa, e Giambo, il batterista-cantante, ha
dimostrato di essere sempre all’altezza della situazione, oltre che rivelarsi
ogni volta un vero agitatore di folle, particolarmente in “Heavy fashion”;
francamente non riusciamo ad immaginarci gli Stiff con un cantante solista.
Conclufdiamo lo spazio dedicato agli Stiff con una frase di Giambo apparsa su
di un numero dalla fanzine “Metal City Rockers”: «Il nostro sound non è granché
etichettabile: odiamo le etichette perché sono dei clichès che limitano il
lavoro di una band. La nostra musica la definirei “street metal”. Perché gli
Stiff hanno una risposta così calorosa da parte del pubblico? Perché sono
grandi!» Altri 10 minuti di pausa ed ecco salire sul palco i triestini STEEL
CROWN, gruppo conosciutissimo nell’ambiente heavy che non ha certo bisogno di
presentazione. Il pubblico romano è partito abbastanza prevenuto nei confronti
della band: S.C. , e soprattutto Yako de Bonis, non godono certo dell’amore
sviscerato di parecchi kids e della stampa specializzata che critica il
vocalist per presunti atteggiamenti da rockstar. Noi non vogliamo scendere in
polemica con queste cazzate, anche perché non conosciamo personalmente Yako
(anzi lo invitiamo fin da adesso a scrivere il suo pensiero su SENTINEL) ed
ogni giudizio su di lui potrebbe non risultare obiettivo, quindi ci limiteremo
a parlare del concerto. È stata la prima volta che abbiamo visto Steel Crown
dal vivo, e lo spettacolo ci ha soddisfatto: enorme preparazione tecnica,
professionalità, abilità nel tenere il palco e nel portare avanti un concerto
che poteva venire seriamente ostacolato dai guai passati dal chitarrista Frank
Lewis, ed anche una piccola dose di ruffianaggine che ci sta sempre bene. Frank
è un ottimo chitarrista, pulito, che non eccede a virtuosismi fini a se stessi;
la sezione ritmica si rivela precisa e puntuale grazie alla bravura del
giovanissimo drummer Silver Kid e dal bassista Pino Mc Kenna. E per finire
Yako, dotato di una bella voce che sembra cercare di fondere lo stile
prettamente heavy (Halford) con le voci tipiche del rock-blues anni ’70; è
dotato di una presenza scenica che pochi hanno in Italia, grazie soprattutto
all’enorme esperienza accumulata. A parte piccole puntatine in un piacevole
hardcore, le matrici bluesy della band si notano, nonostante il gruppo sia
molto attuale. Il concerto sarebbe filato liscio se non fosse stato per i guai
passati dal chitarrista, costretto prima a servirsi di una chitarra dei
Thunder, poi addirittura a lasciare il palco esasperato. Yako, abilmente
dobbiamo dire, ha chiamato Max degli Stiff per una session. Eseguono un blues
più un altro pezzo, dando dimostrazione di grande professionalità ai kids
rimasti. Come già detto non ci sentiamo di dare un giudizio personale sui 4
rockers: l’importante è che il gruppo riesca a suonare un buon heavy rock; se
poi Yako invita sul palco un kid del pubblico e lo faccia cantare con lui, che
sputtani Beppe Riva e chiami poi Suan di “Metal Militia” e infonda in lui la
speranza di non far morire la fanzine (a proposito, David: tieni duro, siamo
tutti con te!), beh, questo rientra nella piccola dose di ruffianaggine di cui
si parlava all’inizio. Per noi l’importante è la musica e che il gruppo la
esegui bene… tutto il resto è un altro discorso.
Approfittiamo di questo spazietto per correggere l’affermazione da noi
fatta nel numero scorso riguardo i Synthesis nell’articolo dedicato all’Umbria
in Metal: non era esatto dire che Giulio Biocca ha lasciato definitivamente gli
Interceptor per unirsi ai Synthesis. Giulio ha sciolto, in accordo con gli
altri membri, gli Interceptor, che non esistono più, e sta formando un nuovo
gruppo cono membri sia dei Synthesis che del vecchio gruppo perugino.
Attualmente la band, che sta attivamente
lavorando su nuovi pezzi, mantiene il nome “Synthesis” ma non è escluso che
anche questo possa venire modificato in seguito.
Parleremo presto più ampliamente di questo nuovo gruppo con
un’intervista, in un futuro prossimo, appena la band sarà pronta a presentarsi
pubblicamente.
LE ORIGINI CULTURALI DEL METAL DEI JUDAS PRIEST
In una società come quella attuale,
che oltre ai tanti soprusi, permette la dittatura culturale di classi sociali
borghesi decadenti e quindi illegittime; in questa società i giovani hanno il
diritto di amare l’heavy metal, così come hanno il dovere di studiare le sue
origini culturali, i suoi addentellati con la cultura moderna. Non ci si può
limitare a scatenare le proprie passioni selvagge e vitaliste dietro le note
taglienti del rock contemporaneo. Per mandare in pezzi la dittatura della
cultura borghese occorre riappropriarsi della cultura, occorre rompere gli
steccati che imprigionano la gioventù ribelle, la gioventù che il regime emargina,
la gioventù che riconosce nel rock il linguaggio della propria protesta contro
l’alienazione e la ghettizzazione. Uscire dal ghetto è possibile alla sola
condizione di capire, di spiegare chi siamo e cosa vogliamo. Non basta più
considerarsi “metal”, occorre diventarlo. Ciò è quanto mai necessario in questi
tempi, che vedranno un’offensiva delle multinazionali della musica per far
fuori il rock vero, per trasformarlo di nuovo in un pezzo da museo. Io penso
che occorre prepararsi a rientrare sottoterra, underground, se non vogliamo
diventare folklore, se non vogliamo trasformarci in soggetti integrati come è
accaduto ai “duri” degli anni ‘60/’70.
* *
* *
L’heavy metal non è per niente
un movimento omogeneo, come lo è stato sostanzialmente il punk; anzi,
probabilmente l’heavy metal non può essere considerato nemmeno un movimento
vero e proprio. Certe volte penso che è difficile discernere un fenomeno
artistico-musicale vero, autentico, da quelli fasli, simulati, inventati dalle
multinazionali della musica. Ma la linea di demarcazione quando c’è, va
trovata. A costo di essere impopolare tra i metallari voglio subito dire che
nell’heavy metal c’è un sacco di robaccia che non ha il minimo valore
artistico-culturale, ci sono un sacco di gruppi che sono un vero e proprio
bluff, autentiche invenzioni di qualche produttore astuto o di qualche casa
discografica alla ricerca di più alti profitti. Nel campo del rock vero, del
metal genuino troviamo i Judas Priest. Essi sono un punto di partenza obbligato
per ogni discorso sull’heavy; ma soltanto perché sono dei pionieri, dei
precursori. Tra i Judas ci sono dei cervelli che hanno saputo coniugare il rock,
cioè la musica ribelle delle giovani generazioni, con correnti culturali ben
più profonde, agganciando quindi il rock contemporaneo a radici ben più solide,
oserei dire filosofiche. Capire fino in fondo il messaggio priestiano è
impossibile senza un’appropriazione di queste radici culturali e filosofiche da
cui sgorga l’etica dei Judas e di Robert Halford. A costo di essere troppo
schematico penso si possa dire che il messaggio dei Judas incorpora spinte e
concezioni di una parte, r forse la migliore del pensiero umano, della
filosofia contemporanea: Marx, Sirner, Nietzsche e Sorel. Di Marx i Judas
acquisiscono il rifiuto radicale della società borghese, l’idea di una società
più avanzata, più giusta, senza barriere di classe. Da Stirner la
giustificazione del diritto dell’individuo, dell’uomo alla rivolta contro ogni
forma di società regolamentata, di istituzione soffocante e autoritaria. “Io
sono la negazione di tutto il resto, io sono per me tutto, sono l’Unico”.
Questo rifiuto totale di ogni tipo di comando sull’uomo e di ogni “morale
sociale” è possibile leggerlo in quel brano storico che è “The ripper”. Oggi
noi possiamo anche apprezzarlo come pezzo eccellente, ma allora, quando uscì
nel 1976, esso rappresentava una rottura profonda e irreversibile con il rock
di allora, ormai sprofondato nella retorica romanticista e sentimentalistica.
Con quel brano risorge il rock duro nel senso proprio, segnando una svolta
rispetto alle tematiche decadenti e intimistiche e fiabesche che avevano
risucchiato quella stessa grande band che erano i Black Sabbath. In quel
momento il fenomeno “punk” era solo agli albori: anche il punk doveva assumere
una grande importanza nella rottura finale con quella appiccicosa nostalgia
delle glorie passate del rock. Con il secondo album dei Priest il rock duro
risorgeva, avviando un’epoca nuova, caratterizzata da una concezione della
musica e dell’arte in cui al primo posto c’erano gli istinti, di una musica che
doveva permettere alle passioni di erompere, alle stesse passioni che la morale
borghese condannava come distruttive, devianti, sataniche. Ma non si trattava
del dark nel senso proprio: il problema era quello di distruggere quella
concezione dell’arte e della musica in cui il contenuto si annichiliva nella
sublimazione della bellezza e della forma. Per quanto la musica dei Priest sia
liricamente ineccepibile, essa era, come il metal in generale, fortemente
anti-lirica; come il punk si rovesciava il concetto di bellezza estetica di un
brano a favore della comunicazione immediata, violenta, sanguigna degli istinti
e dei desideri che si celano nell’uomo e che la società incatena alla morale,
che lo Stato-Chiesa e padroni ammanettano a favore del mantenimento dell’ordine
sociale. Con il terzo e quarto album si palesano le influenze Nietzschiane. Non
si trattava più soltanto di cantare e veicolare le pulsioni vitali dell’uomo,
la sua sete di rivolta. Con “Exciter” assistiamo ad una vera e propria apologia
del Superuomo. Ma non si tratta qui della concezione reazionaria del superuomo
che soggioga l’umanità: l’exciter, il sobillatore è un sovversivo, è il
rivoluzionario per eccellenza. Egli piomba quaggiù per liberare le masse
oppresse; egli sopraggiunge come una cometa incandescente per dare al popolo il
segnale della rivolta contro i dominatori, indicando la strada della
liberazione. Con gli albums successivi questo discorso si precisa, si fa ancor
più chiaro. I Priest affinano la loro tecnica musicale, infondono nuova potenza
al loro rock per sottolineare ancora che i giovani combattenti del rock debbono
guardare avanti, debbono essere in grado di dominare sé stessi, di affilare le
proprie armi per vincere la lotta contro questa società marcescente e
oppressiva. Scriveva Nietzsche: «L’uomo è qualcosa che deve essere superato».
Ciò è appunto il messaggio cruciale dei Priest: si deve assolutamente credere
nell’uomo, ma solo in quanto esso è un ponte per divenire qualcosa di
superiore, di migliore. Si accoglie di Nietzsche l’idea per cui l’uomo è tutto
al più un cavo teso tra la bestia e il superuomo. È giusto: «…la grandezza
dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo…». Anche per questo i Priest
urlano il tramonto di questa civiltà, la quale dovrà pur lasciare il posto ad
una struttura più alta, più solida e giusta. Il mezzo per aprire la strada al
superuomo, alla nuova civiltà è e può essere soltanto la lotta, la forza, la
violenza. Qui troviamo il messaggio soreliano della rivoluzione come atto
estremo, glorioso, eticamente esaltante. È nel combattimento e non nei salotti
che puoi conoscere l’uomo; è nella battaglia che l’uomo esalta le sue qualità,
esterna la sua volontà eversiva. Ed è solo nella sovversione che l’uomo
conquista la propria felicità, ritrova la libertà. La rivoluzione totale è
l’atto con il quale l’umanità si scrollerà di dosso gli stracci della sua
storia, sbarazzandosi delle anticaglie e dei fardelli che si è portata appresso
per millenni. A tutto questo vorrei aggiungere che è anche nel futurismo che i
Judas hanno attinto per trovare la loro identità culturale, la loro concezione
del fare musica. Non si tratta più di cantare l’amore ampolloso, i piagnisdei
istrionici, la disperazione e lo smarrimento. Si tratta ora di cantare
l’istintualità e il vitalismo insito in ognuno di noi, più che mai nei giovani.
Come i futuristi smisero di dipingere paesaggi e nudi per immortalare la
straripante potenza delle macchine da corsa, così i Priest hanno ripulito il
rock dall’intimismo e dal romanticismo: qui si dipinge con note elettriche la
notte di una grande metropoli, le emozioni di una corsa selvaggia, l’inusitata
potenza della volontà umana. Non occhi azzurri sdolcinati ma occhi elettrici,
non emozioni soavi ma eruzioni possenti, muscoli contorti nello spazio.
Certo, non è possibile esaurire
il discorso Judas Priest con queste pagine; ho voluto solo avviarlo. Spero che i
metal kids rifuggano dall’atteggiamento puerile del rifiuto della cultura, come
se questa non ci appartenesse.
Non dobbiamo diventare vecchi per essere saggi.
Moreno
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