Eugenio Montale (12/10/1896 - 12/9/1981)
- Spesso il male di vivere ho incontrato
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- Spesso il male di vivere ho incontrato:
- era il rivo strozzato che gorgoglia,
- era l'incartocciarsi della foglia
- riarsa, era il cavallo stramazzato.
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- Bene non seppi; fuori del prodigio
- che schiude la divina Indifferenza:
- era la statua nella sonnolenza
- del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
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- Forse un mattino andando in un'aria di vetro
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- Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
- arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
- il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
- di me, con un terrore di ubriaco.
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- Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
- alberi case colli per l'inganno consueto.
- Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
- tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
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- Arsenio
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- I turbini sollevano la polvere
- sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
- deserti, ove i cavalli incappucciati
- annusano la terra, fermi innanzi
- ai vetri luccicanti degli alberghi.
- Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
- in questo giorno
- or piovorno ora acceso, in cui par scatti
- a sconvolgerne l'ore
- uguali, strette in trama, un ritornello
- di castagnette.
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- E' il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
- Discendi all'orizzonte che sovrasta
- una tromba di piombo, alta sui gorghi,
- più d'essi vagabonda: salso nembo
- vorticante, soffiato dal ribelle
- elemento alle nubi; fa che il passo
- su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
- il viluppo dell'alghe: quell'istante
- è forse, molto atteso, che ti scampi
- dal finire il tuo viaggio, anello d'una
- catena, immoto andare, oh troppo noto
- delirio, Arsenio, d'immobilità...
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- Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
- dei violini, spento quando rotola
- il tuono con un fremer di lamiera
- percossa; la tempesta è dolce quando
- sgorga bianca la stella di Canicola
- nel cielo azzurro e lunge par la sera
- ch'è prossima: se il fulmine la incide
- dirama come un albero prezioso
- entro la luce che s'arrosa: e il timpano
- degli tzigani è il rombo silenzioso
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- Discendi in mezzo al buio che precipita
- e muta il mezzogiorno in una notte
- di globi accesi, dondolanti a riva, -
- e fuori, dove un'ombra sola tiene
- mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
- l'acetilene -
- finché goccia trepido
- il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
- tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
- le tende molli, un fruscio immenso rade
- la terra, giù s'afflosciano stridendo
- le lanterne di carta sulle strade.
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- Così sperso tra i vimini e le stuoie
- grondanti, giunco tu che le radici
- con sé trascina, viscide, non mai
- svelte, tremi di vita e ti protendi
- a un vuoto risonante di lamenti
- soffocati, la tesa ti ringhiotte
- dell'onda antica che ti volge; e ancora
- tutto che ti riprende, strada portico
- mura specchi ti figge in una sola
- ghiacciata moltitudine di morti,
- e se un gesto ti sfiora, una parola
- ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
- nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
- vita strozzata per te sorta, e il vento
- la porta con la cenere degli astri.
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