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giovedì 19 aprile 2012

Il poeta del giorno: JOHN ASHBERY


Nato a Rochester il 28 luglio del 1927, è considerato il massimo esponente della scuola poetica newyorkese, svolge la propria opera artistica principalmente in un ambito meditativo, nel quale riesce a far confluire linguaggi e stili contemporanei, sovente derivati dal mondo dei mass-media ovvero dalla cinematografia e dallo spazio colloquiale quotidiano, restando sempre correlato al mondo urbano newyorkese che fa da sfondo ai tratti poetici.
Autore di oltre venti libri di poesia, è stato insignito di numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Pulitzer, il National Book Award, il Premio Bollingen e il riconoscimento dell'Accademia dei Lincei; è stato il primo poeta di lingua inglese a vincere il Grand Prix de Biennales Internationales de Poésie di Bruxelles e, nel 1992, ha vinto il Premio Feltrinelli per la poesia internazionale.
È professore di Languages and Literature al Bard College, e vive tra New York e Hudson. Il suo primo libro pubblicato in Italia fu Autoritratto in uno specchio convesso (Garzanti, 1983), con un'introduzione di Giovanni Giudici e traduzione di Aldo Busi, per il quale Ashbery ricevette ben tre prestigiosissimi premi: il Pulitzer Prize, il National Book Award e il National Book Critics Award.
Alla pubblicazione della pluripremiata raccolta seguì quella di Syringa e altre poesie, del 1999Aldo Busi fu tra coloro i quali lo fecero conoscere al pubblico italiano, facendone il soggetto della propria tesi di laurea e traducendolo più volte. Luca Sossella editore nel 2008 ha pubblicato un'antologia Un mondo che non può essere migliore. Poesie scelte 1956-2007.
È socio straniero dell'Accademia dei Lincei.
È stato insignito del titolo di "duca di Convexo", dal Sovrano del Regno di Redonda.

Questa stanza
La stanza in cui entrai era il sogno di questa stanza.
Certo tutti quei piedi sul sofà erano miei.
Il ritratto ovale
di un cane ero io in piú tenera età.
Qualcosa riluce, qualcosa viene azzittito.
A pranzo mangiavamo pastasciutta tutti i giorni
tranne la domenica, quando una quaglia veniva indotta
a esserci servita. Perché ti dico questo?
Nemmeno sei qui.

Paradossi e ossimori
Questa poesia si occupa del linguaggio a un livello alquanto piano.
Guardala che ti parla. Guardi da una finestra
o affetti irrequietezza. La sai ma non la sai.
Ti manca, la manchi, le manchi, ti manca. Vi mancate a vicenda.
La poesia è triste perché vuole essere tua, e non può.
Cos’è un livello piano? È quella cosa e altre,
e ne mette in gioco un sistema. Gioco?
Beh, di fatto, sí, ma io ritengo che il gioco sia
una piú profonda cosa esterna, un modello di ruolo sognato,
come nella ripartizione della grazia queste lunghe giornate agostane
senza dimostrazione. A finale aperto. E prima che te ne accorga
si perde nel vapore e nel cicaleccio della macchina da scrivere.
È stata giocata un’altra volta. Penso tu esista solo
per tormentarmi a farlo, al tuo livello, e poi tu non ci sei
o hai adottato un atteggiamento diverso. E la poesia
mi ha deposto dolcemente accanto a te. La poesia è te.


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