Attila József (Budapest, 11 aprile 1905 – Balatonszárszó, 3 dicembre 1937) è stato un poeta ungherese; è considerato uno dei più importanti poeti ungheresi del XX secolo. Figlio di Áron József, operaio di origine rumena, e di Borbála Pőcze, contadina, nacque nel quartiere popolare di Ferencváros, a Budapest, terzogenito dopo le sorelle Eta e Jolán. Il padre abbandonò la famiglia quando lui aveva tre anni e la madre non riuscì a mantenere i figli. Attila, attraverso un'istituzione nazionale di assistenza sociale, venne affidato ad una coppia di Öcsöd per lavorare nella loro fattoria. Le condizioni di vita furono tali che Attila (ribattezzato "Pista" dai genitori affidatari) fuggì nuovamente a Budapest per tornare dalla madre. La madre morì nel 1919, a 43 anni di età. Attila venne quindi cresciuto da Ödön Makai, suo cognato, che gli consentì di studiare in una scuola superiore. Successivamente si iscrisse all'università di Seghedino, con l'intenzione di diventare un insegnante, ma ne venne espulso per via di una poesia provocatoria che aveva scritto. Da quel momento, cercò di mantenersi con i pochi guadagni derivanti dalla pubblicazione dei suoi scritti. iniziò inoltre a dare segni di schizofrenia e andò in cura presso vari psichiatri. Morì nel 1937 all'età di 32 anni a Balatonszárszó, dove viveva con la sorella ed il cognato, travolto da un treno di passaggio mentre si trovava sdraiato sui binari. L'ipotesi del suicidio è la più accreditata, anche se alcuni studiosi non escludono l'incidente. Presso il luogo della sua morte è posto un cippo memoriale.
Una meravigliosa fiammata
Bisognerebbe alzare un fuoco grandissimo,
perché la gente si riscaldi.
Buttarvi ogni cosa, antica e vecchia,
rotta e scheggiata, ed anche nuova e intatta...
Ne canterebbe sino al cielo una fiamma ardente
e prenderebbe per la mano tutte le genti.
Bisognerebbe alzare un fuoco grandissimo...
Strappare le porte di fredde cantine
e caricare la fiamma perché dia molto calore.
Ahi, bisognerebbe preparare quel fuoco
perché si sciolgano tutti dal freddo!
Mia madre lavandaia
Teneva fra le mani una scodella.
La rivedo così, una domenica sera.
Sorrideva in silenzio, esitando
un po' nella penombra.
Portava a casa la sua cena
guadagnata sotto i padroni
e a letto, più tardi, io pensavo
che quelli ne mangiavano pentole piene.
Mia madre era gracile e morì giovane:
le lavandaie muoiono presto,
le gambe tremano sotto i carichi
e la testa fa male dallo stirare.
Dense nuvole di vapore,
montagne di biancheria sporca
e per cambiar aria
il solaio.
La rivedo mia madre, piegata sul ferro da stiro.
Il suo esile corpo, sempre più sottile,
fu spezzato dal capitale.!
Pensateci, o proletari! ...
A furia di lavare s'era fatta curva
e io non sapevo che ancora fosse giovane.
Sognava d'avere un grembiule pulito
e che il postino le dicesse buon giorno.
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