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giovedì 12 aprile 2012

Il poeta del giorno: UMBERTO BELLINTANI

Umberto Bellintani È nato a San Benedetto Po nel 1914. Si è diplomato in scultura nel 1937. Richiamato alle armi nel 1940, fu prigioniero in Germania dal ‘43 al ’45. Al suo ritorno abbandonò la scultura, lavorando come segretario in una scuola. Affermatosi negli anni Cinquanta e Sessanta come una delle voci più libere e potenti della nuova poesia d’allora, dopo E tu che m’ascolti (1963) decise di uscire dalla scena, di non pubblicare più. Per trentacinque anni è stato irremovibile di fronte alle richieste dei molti estimatori che non avevano mai smesso di leggerlo; poi, fortunatamente ha ceduto, consegnandoci una raccolta che ci ha consentito di seguire la sua poesia di oltre mezzo secolo. È morto a Mantova il 7 settembre 1999.



Sera di Gorgo
Ancora opache innanzi a questa
sera ed umane.
Ora sono delle anime viola
le figure d’intorno al carretto
di chi grida il bel rosso dell’anguria.
E l’asino è un’ombra che sogna
e mastica biada.
Là il cielo è un verde di giada;
una rondine vi si tuffa,
esce, si perde:
è quasi ora di accendere lucerne.
Nostalgia
Torna un lamento,
e ne dà l’eco la pallida
ombra del monte al capo viola.
Vedo gli uccelli
sui comignoli dei tetti
di un paese dell’Epiro
e scroscia un fresco scintillato di rugiada.
E mentre trebbiano il grano
dei fulvi cavalli arrivo
ove l’oracolo di Delfo era
nel volto corrucciato del greco
fiero di odiarmi.
Non sarò forse mai,
non avrò più ritorno
a quelle terre ove
di me in cerca s’aggira
un ebbro momento.
Oh triste
esser dispersi nel tempo
e per terra divisi
in parti ed ogni parte la sorella
chiamare vanamente.
Negro allo zoo
Qui è nell’occhio dolente dell’antilope
il mio specchio del tempo che trascorro;
ed in quello mi guardo: vedo il fiume
tra le erbe colle orme di gazzelle
che all’acqua volgevano di sera
o la notte nel chiaro della luna.
Sono un negro nel serraglio di città
che dai ferri delle sbarre vede lungi
dentro l’Africa lontana il suo villaggio.
Là sollevano le palme di mattina
verso il cielo un fanciulletto nudo sempre;
ed un canto s’intona. Godo il verso
d’animale di foresta; mi rammento
della madre che rideva accovacciata
con il sesso disserrato come un fiore
nell’assorta palude. E d’allora
di quel tempo cui vola il mio pensiero
la rugiada mi stilla dagli occhi.

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