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martedì 13 marzo 2012

Il poeta del giorno: NAZIM HIKMET

Nato a Salonicco nel 1901 - morto a Mosca, 3 giugno 1963. Hikmet è una delle più importanti figure della letteratura turca del Novecento e uno dei primi poeti turchi ad usare i versi liberi. Hikmet è diventato, mentre era ancora vivo, uno dei poeti turchi più conosciuti in Occidente e i suoi scritti sono stati rapidamente tradotti in diverse lingue. Condannato per marxismo fu il solo scrittore d'importanza ad evocare i massacri armeni del 1915 e 1922. Nato a Salonicco (attualmente in Grecia) dal funzionario Nazim Hikmet Bey e dalla pittrice Aisha Dshalila studiò nel liceo francese di Galatasaray (Istanbul) e studiò anche nell'Accademia della Marina militare che dovette però lasciare per ragioni di salute. Durante la guerra d'indipendenza, si schierò subito con Atatürk (Mustafa Kemal) in Anatolia e lavorò come insegnante a Bolu. Studiò poi sociologia presso l'università di Mosca (1921-1928) e diventò membro del partito comunista turco negli anni venti. Dopo il suo ritorno in Turchia nel 1928, senza visto, Hikmet scrisse articoli, scenari ed altri scritti. Fu condannato alla prigione per il suo ritorno irregolare ma amnistiato nel 1935. Nel 1938, fu condannato a 28 anni e 4 mesi di prigione per le sue attività anti-naziste e anti-franchiste e per essersi opposto alla dittatura di Kemal Ataturk. Grazie all'intervento di una commissione internazionale della quale facevano parte, tra gli altri, Pablo Picasso, Paul Robeson, Jean-Paul Sartre scontò solo 12 anni e nel 1950 venne liberato. Si sposò con Münevver Andaç, una bravissima traduttrice in francese e polacco ma nel 1951, a causa delle costanti pressioni, fu costretto a ritornare a Mosca (Russia) ma la moglie e il figlio non poterono seguirlo ed egli trascorse il suo esilio in tutta Europa, perse la cittadinanza turca e divenne polacco. Nel 1960 si innamorò della giovane Vera Tuljakova e la sposò. Morì il 3 giugno 1963 a causa di una crisi cardiaca mentre si trovava in esilio a Mosca.



Addormentarsi adesso

“Addormentarsi adesso
svegliarsi tra cento anni, amor mio...”
“No,
non sono un disertore.
Del resto, il mio secolo non mi fa paura
il mio secolo pieno di miserie e di scandali
il mio secolo coraggioso grande ed eroico.
Non ho mai rimpianto d’esser venuto al mondo troppo presto
sono del ventesimo secolo e ne son fiero.
Mi basta esser là dove sono, tra i nostri,
e battermi per un mondo nuovo...”
“Tra cento anni, amor mio...”
“No,
prima e malgrado tutto.
Il mio secolo che muore e rinasce
il mio secolo
i cui ultimi giorni saranno belli
la mia terribile notte lacerata dai gridi dell’alba
il mio secolo splenderà di sole, amor mio
come i tuoi occhi…”

I tuoi occhi 

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all’ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d’Antalya,
sono cosi, le spighe, di primo mattino;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s’illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
Così sono d’autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà giorno, mia rosa, verrà giorno
che gli uomini si guarderanno l’un l’altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.

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