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venerdì 2 marzo 2012

Il poeta del giorno: JOHANN WOLFGANG GOETHE

Johann Wolfgang Goethe, poeta e scrittore tedesco, nasce a Francoforte Sul Meno il 28 agosto 1749 da un'agiata famiglia borghese di un consigliere imperiale. Aiutato dalla madre, giovane e intelligente, mostrò genialità precoce, imparando facilmente più lingue, e scrivendo prestissimo per il teatro delle marionette (dove poté conoscere,
tra l'altro, la popolare leggenda del dottor Faust). A sedici anni lasciò Francoforte per studiare legge a Lipsia. Furono anni di intensa vita sociale e culturale; si interessò alla medicina, alle arti figurative e al disegno, e cominciò a scrivere versi di tonalità anacreontica, libertina e scherzosa. 
Alla rottura del breve idillio con Kathchen Schonkopf segui una fase di turbamento e agitazione; poi, col ritorno a Francoforte (1768), una pericolosa malattia. In quel difficile periodo Goethe venne in contatto con l'ambiente religioso dei pietisti, in particolare con Susanne von Klettenberg (alla quale si ispirerà nel "Meister" per il personaggio dell'"anima bella"), e si diede a letture alchimistiche ed esoteriche. Nel 1770 Goethe si recò a Strasburgo per finire gli studi. Vi ebbe la rivelazione dell'arte gotica che, di Shakespeare e di Ossian, soprattutto grazie all'amicizia con Herder, e si innamorò di Friederike Brion, figlia del pastore protestante di Sesenheim. 
La gioia e le tensioni di quell'amore, insieme alla partecipazione alla bellezza della natura, intesa come immediata vitalità, gli ispirarono alcune delle più belle liriche di questo periodo, mentre il sentimento di colpa seguito all'abbandono di Friederike diventerà, trasposto, quello di Faust verso Margherita. 
Nel 1771, a Francoforte, Goethe scrisse una prima versione (una seconda la pubblicherà nel 1773) del dramma "Gotz von Berlichingen" cavaliere dell'età della Riforma il cui ribellismo libertario esaltava i giovani scrittori dello Sturm und Drang. Di quegli anni (1771-75) sono anche i frammenti lirici di due drammi mai scritti, "Prometeo e Maometto", nei quali troviamo la coscienza orgogliosa della lotta e del dolore degli uomini e I'immagine della vita dell'umanità come acqua che scorre dalla sorgente al mare. Questo momento "titanico" di Goethe si espresse in inni scritti in ritmo libero; fra questi è il cosiddetto "Ciclo del viandante", composto fra il 1772 e il 1774, e concluso nel 1777, quando il poeta era già a Weimar, col "Viaggio d'inverno nello Harz". 
Tra il maggio e il settembre 1771 Goethe era stato a Wetzlar, praticante presso il tribunale. Là si era innamorato di Charlotte Buff. Di ritorno a Francoforte, traspose quell'amore irrealizzabile nel romanzo epistolare "I dolori del giovane Werther". Il travolgente successo internazionale di quest'opera, e lo scandalo da essa suscitato, fecero di Goethe il dominatore incontrastato della scena letteraria tedesca. Entrò in rapporto con Klopstock, Lavater e i fratelli Jacobi, e si accostò al misticismo di Swedenborg e a Spinoza
Un nuovo amore (Lili Schònemann) ispirò a Goethe altre liriche, il dramma "Clavigo" (da un episodio della autobiografia diBeaumarchais), che ha come protagonista la figura del fidanzato infedele, e il "dramma per innamorati" "Stella", che tratta il tema scabroso del "doppio matrimonio". Nel 1775 viaggiò in Svizzera insieme ai fratelli Stolberg e si spinse fino al Gottardo, attirato dall'Italia. Tornato a Francoforte, ruppe il fidanzamento con la Schònemann. 
Nell'ottobre, il diciottenne duca di Weimar, Karl August, gli offrì il posto di suo precettore, carica che Goethe accettò. 
Aveva già scritto (dopo il 1772), e nel dicembre lesse alle dame di corte, un dramma su Faust: è il cosiddetto "Urfaust", il capolavoro dello Sturm und Drang, ritrovato nel 1887 fra le carte di una damigella che l'aveva copiato. Nelle linee principali la vicenda corrisponde a quella che sarà la prima parte del Faust definitivo: ci sono il dramma del mago e la tragedia di Margherita, espressi in un linguaggio duro e vibrante, soprattutto nelle scene in prosa, che la successiva rielaborazione in versi attenuerà in vista d'una diversa armonia. 
In seguito, si dedicò anche allo studio delle scienze, soprattutto mineralogia, botanica e ottica (la sua celeberrima e anti-newtortiana "Teoria dei colori" è l'opera a cui profuse la forze maggiori, con l'intento di farne il suo più importante capolavoro). Il primo decennio weimariano (1775-1786) è profondamente segnato dalla relazione amorosa e intellettuale, di reciproca educazione sentimentale, con Charlotte von Stein; con lei scambiò un memorabile carteggio, ne educò il figlio, le dedicò molte delle sue poesie più belle. In quegli anni Goethe continuò a lavorare al Faust, scrisse la prima versione del "Meister" ("La vocazione teatrale di Wilhelm Meister", anch'essa pubblicata dopo più di un secolo). 
Ben presto però anche Weimar gli sta stretta, nasce così l'idea di un viaggio in Italia, nato non tanto dal bisogno di un esteriore omaggio alla classicità (che per lui era la fusione tra natura e cultura), quanto da quell'immagine che lui perseguiva e che avrebbe rintracciato nella grecità e nella "naturalezza" italiana. Arrivato a Roma ne 1786, sente subito rinascere dentro di lui la volontà poetica, il desiderio di stendere versi sublimi che riportassero sulla pagine le sensazioni offerte dal Bel Paese. Visita dunque anche Palermo e Napoli, dove sale sul Vesuvio. Dirà ad Eckermann in un colloquio datato 6 ottobre 1829: "Non mi dispiace affatto che il dottor Gottling parli dell'Italia con tale entusiasmo. So bene anch'io quale era allora l'animo mio! Sì, io posso dire che solamente a Roma ho sentito cosa voglia dire essere un uomo". 
Il suo viaggio termina nel 1788. Tornerà ancora brevemente a Venezia nel 1790 e poi ancora definitivamente nella sua Weimar dove, separatosi da Charlotte, inizierà la sua vita con Cristiane Vulpius, anche se da questo momento in poi è forte la sua crisi nei confronti della società e dell'ambiente mondano. Da un altro vero, però, ha inizio il forte e straordinario sodalizio con Schiller, improntato ad un recupero, soprattutto da parte di Goethe di un nuovo e rinvigorito "Calssicismo". Con Schiller, inoltre, scriverà violenti epigrammi polemici ("Xenien"), oltre ad articoli e saggi su varie riviste. 
Nel 1809 pubblicò, per l'editore Cotta, "Le affinità elettive" e cominciò la sua autobiografia, "Della mia vita. Poesia e verità" (1831). Nel 1814, la lettura del "Divan dello scrittore persiano Hafiz" gli ispirò le poesie del "Divano occidentale-orientale" (1819). Negli ultimi anni la sua creatività raggiunse livelli altissimi: oltre a scrivere numerose recensioni, elegie, poesie, portò a termine il Meister e il Faust. 
Morì a Weimar il 22 marzo 1832. 


Vicinanza

Quando spesso, piccina mia,
mi diventi, io non so come, estranea;
quando ci confondiamo tra la folla
a me si soffoca ogni gioia.
Ma quando è buio e quiete intorno a noi,
dei tuoi baci ancor mi riconosco.

Da dove siamo nati?

Da dove siamo nati?
Dall'amore.
Come saremmo perduti?
Senza amore.
Cosa ci aiuta a superarci?
L'amore.
Si può trovare anche l'amore?
Con amore.
Cosa abbrevia il pianto?
L'amore.
Cosa deve unirci sempre?
L'amore.



Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!

Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!
E via! Con l'impeto dell'eroe in battaglia.
La sera cullava già la terra,
e sui monti si posava la notte;
se ne stava vestita di nebbia la quercia,
gigantesca guardiana, là
dove la tenebre dai cespugli
con cento occhi neri guardava.

Da un cumulo di nubi la luna
sbucava assonnata tra le nebbie;
i venti agitavano le ali sommesse,
sibilavano orridi al mio orecchio;
la notte generava migliaia di mostri,
ma io mille volte più coraggio avevo;
il mio spirito era un fuoco ardente,
il mio cuore intero una brace.

Ti vidi, e una mite gioia
passò dal tuo dolce sguardo su di me;
fu tutto per te il mio cuore,
fu tuo ogni mio respiro.
Una rosea primavera
colorava l'adorabile volto,
e tenerezza per me, o numi,
m'attendevo, ma meriti non avevo.

L'addio, invece, mesto e penoso.
Dai tuoi occhi parlava il cuore;
nei tuoi baci quanto amore,
oh che delizia, e che dolore!
Partisti, e io restai, guardando a terra,
guardando te che andavi, con umido sguardo;
eppure, che gioia essere amati,
e amare, o numi, che gioia!

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