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sabato 10 marzo 2012

Il poeta del giorno: GIOVANNI RABONI

Giovanni Raboni, uno dei maggiori poeti e studiosi italiani, è nato a Milano nel 1932, dove ha vissuto sino alla sua scomparsa, avvenuta nel settembre 2004. Ha tradotto poeti come Baudelaire e Apollinaire e ha composto scritti di critica letteraria. Dopo alcune plaquettes uscite all’inizio degli anni Sessanta, ha pubblicato nel 1966 una prima raccolta poetica, Le case della Vetra, a cui hanno fatto seguito molte altre. Poeta coltissimo, le sue liriche si caratterizzano per l’uso di un ampio spettro di registri linguistici, da quello più “parlato” e informale a quello “burocratico” dei politici o dei verbali giudiziari, in cui si inseriscono momenti di riflessione dal tono volutamente appiattito.





Risanamento
Di tutto questo
non c’è più niente (o forse qualcosa
s’indovina, c’è ancora qualche strada
acciottolata a mezzo, un’osteria).
Qui, diceva mio padre, conveniva
venirci col coltello … Eh sì, il Naviglio
e a due passi, la nebbia era più forte
prima che lo coprissero … Ma quello
che hanno fatto, distruggere le case,
distruggere quartieri, qui e altrove,
a cosa serve? Il male non era
lì dentro, nelle scale, nei cortili,
nei ballatoi, lì semmai c’era umido
da prendersi un malanno. Se mio padre
fosse vivo, chiederei anche a lui: ti sembra
che serva? e il modo? A me sembra che il male
non è mai nelle cose, gli direi.
Contestazione
Una, improvvisamente
s’alza dal letto dicendo
«questo non si può fare». E s’agita, tira fuori
roba dai cassetti nella spazio impiccato
tra comò e attaccapanni, a momenti
fa cadere la lampada, il catino – e
fiera nelle sue scarpe davanti allo specchio
dove affiora la nebbia, ogni
tanto toccandoli col palmo della mana infonde
il fissatore-insetticida sui capelli.
Il cotto il vivo
Dopo dieci anni tirarli su. A Musocco
c’è bisogno di posto e il posto si fa
mettendo un morto sopra l’altro, sigillati
in un pezzo di muro. Muovere un campo dopo
[l’altro. Questo mese
il campo 49, dov’era sepolto mio padre. Non vorrai
lasciarlo davvero in questa buco
da incubo: corpo coi mattoni: finirà
che non avrai mai voglia di venire
a trovarlo. Ma lascia stare, non andrei
neanche nel cimitero di campagna
che aveva visto da vivo e credo
che gli sarebbe piaciuto. E poi adesso
chi può più dirlo. Adesso che non vuole più niente,
forse son proprio queste cose
che vuole di meno: la fragranza
dell’erba, la povertà della croce,
il nome schiarito dalla pioggia. Forse ama
di più un pezzo di muro, sente
gli spigoli giusti, le opere della malta, mischiarsi
sabbia e calce, connettersi il cotto
e il vivo, gli spigoli, le ossa dei vicini …

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